Kinds of Kindness di Yorgos Lanthimos arriva con addosso un’eredità pesante: cosa aspettarsi dopo un film come il pluripremiato Povere creature! considerato fin da subito il capolavoro del regista greco? Di certo rispetto al racconto barocco delle avventure di Bella Baxter Kinds of Kindness rappresenta un abbassamento di tono e di gradazioni: dai toni caldi e saturi a quelli più freddi e asettici, dall’universale al particolare, dal racconto di formazione ai racconti di distruzione.
Ai fish eye che catturavano i cieli artificiali di una Lisbona allucinata del primo si contrappongono gli scenari asettici di città e sobborghi anonimi; alla storia straordinaria di una novella Frankenstein, creatura unica nel suo genere chiamata a intraprendere un percorso di crescita metonimica della condizione umana seguono le schegge di piccole vite insignificanti, tenute insieme dal filo sottile di una legge di natura cinica e spietata.
Kinds of Kindness, mosaico di piccoli orrori
Tre storie con gli stessi attori che si alternano in un gioco delle parti: Jesse Plemons, la cui performance gli è valsa un premio come Miglior attore al Festival di Cannes, Emma Stone, Willem Dafoe, Margaret Qualley. Il palcoscenico è la vita, il creatore-demiurgo è Lanthimos, che con la sua macchina da presa detta una linea ferrea e segna un patto inviolabile con gli spettatori: i tre mediometraggi che compongono Kinds of Kindness sono destinati a tradire a ogni passo il titolo dell’opera.
I racconti messi in scena dal regista hanno l’obiettivo di elencare questi atti di gentilezza che nascono nell’assenza di amore: i personaggi dai nomi anonimi e dall’aspetto intercambiabile sono facilmente riducibili alle loro miserie, sono egoisti, crudeli e codardi, folli e manipolatori, sadici e insicuri.
Ma ciò che li accomuna è la loro ricerca spasmodica di cura, di protezione e di sicurezza: da Robert, uomo ordinario che posto davanti alla sceltà tra libertà e conforto decide di mettere la propria vita nelle mani del datore di lavoro Raymond, al poliziotto che sottopone la moglie a una serie di prove d’amore in un crescendo di crudeltà, fino agli adepti di un culto che si separano dal resto del mondo, terrorizzati dalla contaminazione proveniente dal contatto con gli altri corpi.
Kinds of Kindness si nutre della disperazione e della smania di controllo e di abnegazione dei suoi personaggi, la mette in scena e la deride: sulle povere creature di queste tre storie (intitolate La morte di R.M.F, R.M.F. sta volando e R.M.F mangia un sandwich) non veglia nessuno sguardo compassionevole.
La gentilezza del titolo non è propria né dei protagonisti né del loro autore, che si serve di loro per mettere insieme un piccolo compendio su ciò che rimane della condizione umana ridotta all’osso, in cui gli aspetti peggiori dell’umanità vengono cuciti insieme in una sorta di bricolage degli orrori.
Un ritorno a un vecchio Lanthimos?
Kinds of Kindness è un insieme di gentilezze superficiali, di sorrisi plastici che nascondono un groviglio di passioni incancrenite, di corpi che si fondono e si divorano, che si scontrano e si distruggono. Non ci sono grandi esplosioni di violenza sullo schermo, se non in alcuni casi: sono personaggi che si muovono lentamente e con fare mellifluo, che pesano le parole e indorano la pillola, che mantengono il controllo ed esercitano il potere con baci e carinerie.
Il ritorno alla sceneggiatura di Efthimis Filippou, con cui Lanthimos ha collaborato nella prima fase della sua carriera, suggerirebbe un ritorno ai tempi di Dogtooth: ma più che un ritorno alle origini Kinds of Kindness ha più l’aspetto di una raccolta, di un compendio riassuntivo che condensa nelle sue piccole storie di (poca) ordinaria follia il pensiero cinematografico del regista simbolo della Greek Weird Wave.
Un punto di accesso nella galassia straniante e aggressiva del regista, un ritorno sulla fredda terra dopo i voli arditi sui cieli della Londra steampunk di Bella Baxter. Una visione consolatoria e familiare nel suo essere disturbante e dissonante, una nota stonata che si inserisce compostamente nello spartito sghembo di una sinfonia delirante.
Forse un’esperienza depotenziata per chi sta ancora digerendo un’opera vertiginosa e solenne come Povere creature!, di cui tuttavia si sente qualche lontanissimo eco a cui dà voce il corpo attoriale di Emma Stone, punto di convergenza delle diverse traiettorie del cinema di Lanthimos, che continua a ballare seguendo un ritmo segreto e indecifrabile, ironico e disturbante.
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