Tratto dall’omonimo romanzo di Romain Gary, autore francese e di origine russa, La vita davanti a sé, disponibile in streaming su Netflix, è diretto da Edoardo Ponti. Per il regista, il film è la sua prima esperienza con un lungometraggio, dal momento che la sua carriera è costeggiata solo da cortometraggi. Ricordiamo la sua ultima produzione, dal titolo Voce Umana, apparsa nel 2014.
La vita davanti a sé è candidato agli Oscar 2021 nella categoria miglior canzone per Io sì (See) di Laura Pausini.
L’opera è girata interamente nella città di Bari, in particolar modo nei sobborghi più conosciuti per le varie notizie di cronaca. La vita davanti a sé vanta un cast d’eccezione: vediamo, infatti, la famosa attrice italiana Sophia Loren (nonché madre dello stesso regista), affiancata da Renato Carpentieri, Massimiliano Rossi, famoso per aver interpretato il personaggio di Zecchinetta nella celebre serie Gomorra, e da Avril Zamora, importante attrice e sceneggiatrice conosciuta in Elite.
La vita davanti a sé: un racconto difficile
Tra tutte queste celebrità, spicca per una buona interpretazione Ibrahima Gueye, giovane attore che ricopre proprio il ruolo del protagonista: il piccolo Mohammed. È lui, infatti, a introdurci all’interno della storia e a condurci per l’intera pellicola presentandosi con il nome di Momò, diminutivo a cui è particolarmente affezionato.
Momò è di origini senegalesi, giunto in Italia quando era ancora molto piccolo. Sguardo cupo, tenebroso e sempre diffidente con il resto del mondo, egli conduce una vita all’insegna della delinquenza: ruba, spaccia, frequenta compagnie poco raccomandabili. Il suo ruolo nel mondo è quello di trasportare e vendere la droga tra i quartieri di Bari, con la speranza di poter fare persino carriera.
Consapevole della difficile condizione di vita, Momò è aiutato dal dottor Cohen (Massimiliano Rossi). Egli accoglie nella propria abitazione i vari orfani e bambini abbandonati al loro destino; sicché, per evitare che il giovane senegalese abbia la peggio, decide di affidarlo a Madame Rosa (Sophia Loren), un’anziana signora, nonché sua paziente, la quale, nonostante un primo esplicito rifiuto, decide di aiutarlo.
Sebbene tra Momò e Madame Rosa vi siano, almeno nelle parti iniziali, vari problemi, tra i due ci sarà un graduale avvicinamento. La donna, infatti, lo affiderà alle cure di un commerciante, interpretato da Babak Karimi. Lo scopo è quello di educarlo a condurre una vita onesta, lontano dall’universo della criminalità che vede come unica garanzia di vita e di successo.
Un passato che pesa
La trama di La vita davanti a sé è un solo un mero pretesto per offrirci un quadro molto più ampio e complesso. Le storie che si intrecciano, per quanto sia distanziate e diverse sotto vari aspetti, sono accomunate da un unicum che ci portano a soffermarci su elementi tanto nascosti quanto visibile nel quotidiano. E tutto questo ci viene raccontato sia dalle parole di Momò, sia da quelle degli altri personaggi.
Il piccolo Momò, infatti, è un orfano, giunto in Italia quando era ancora molto piccolo. Non ricorda nulla della sua città natale e soprattutto della sua terribile infanzia. Solo qualche dettaglio o frammento della stessa, come il volto della madre e la sua, purtroppo, terribile morte. È lui stesso a dire che la donna era una prostituta, la quale, un giorno, ha deciso di ribellarsi dalle grinfie del marito perché stanca di quel lavoro. Ma il padre, per rabbia, non accetta questa sua sovversione e decide, pertanto, di ucciderla.
La condizione di Momò non è l’unica, giacché tutti bambini che sia il dottor Cohen e sia Madame Rosa accolgono vivono la stessa condizione. Come il piccolo Joseph (Diego Iosif Pirvu), coetaneo di Momò, il quale abita nella dimora dell’anziana signora e diventa il suo unico amico. Sua madre cerca di sopravvivere come meglio crede all’interno di una realtà sempre più ostica, con la promessa (che mantiene) di portarlo con sé e di vivere come una famiglia.
Ma non sono solo queste le condizioni narrate all’interno de La vita davanti a sé. Con un atto magistrale, quel passato difficile diviene il pretesto con cui i personaggi si raccontano. Il commerciante, ad esempio, ha visto la povera moglie morire e la sua vita racchiudersi all’interno della propria bottega tra gli amati tappetti e i libri.
E persino Madame Rosa nasconde un trascorso alquanto complesso. Mediante un’inquadratura veloce sul braccio dell’anziana signora, scorgiamo un numero scritto con un inchiostro indelebile. Sembra un tatuaggio oramai sbiadito, la cui pelle rugosa cerca di nascondere tra le varie pieghe. Tuttavia non serve molto a capire che quello, in realtà, non è un semplice tatuaggio, bensì un marchio. Un marchio che la mente ci riporta indietro nel tempo, quasi a 75 anni fa.
L’anziana signora è un’ebrea ed è una delle tante deportate nel campo di concentramento di Auschwitz. Il suo terribile passato si è tradotto, nel presente, in una malattia che la porta a chiudersi nel suo mondo, a temere che i nazisti possano, da un momento all’altro, prenderla e deportarla nel luogo dove l’umanità, un tempo, ha smarrito se stessa. Momò non conosce Auschwitz e quando le chiede cosa sia, la donna le risponde che è meglio per lui che non lo sappia. Ma Momò sa cosa vuol dire soffrire e perdere qualcuno di importante, così le sta vicino a qualunque condizione.
Un futuro davanti a sé
Sembra che il titolo del film racchiuda il vero senso che Edoardo Ponti ha voluto donare: la vita davanti a sé, un futuro ancora da scoprire. Ma questo fuoriesce anche dalle parole del commerciante quando si rivolge a un Momò triste e arrabbiato, dopo che quest’ultimo ha visto il suo amico Joseph andare via insieme alla madre: per quanto siamo convinti che una determinata strada sia già segnata, sicura, in realtà è solo una delle tante.
E sta a noi capire quale via intraprendere, giacché la nostra vita, scritta o meno dal destino (che uno ci voglia credere o meno), è una coltre di nebbia che lentamente fendiamo. Il segreto, per una vita felice e onesta, è quello di comprendere con giudizio quale strada percorrere. Per questo si cerca di soccorrere e aiutare nel migliore dei modi il giovane Momò, così da evitare che cada nella terribile trappola della delinquenza.
Sebbene La vita davanti a sé non brilli da un punto di vista tecnico ed estetico, il tentativo di offrire allo spettatore un’importante lezione è visibile. Il passato, per quanto sia un enorme macigno, non deve inabissarci. Deve essere il giusto pretesto per andare avanti, il solido bagaglio con il quale possiamo affrontare ogni tipo di avversità.
Momò è solo uno dei tanti giovani ragazzi il cui destino è stato beffardo. E non è nemmeno casuale la scelta del nome che il regista decide di donargli: Mohammed, infatti, vuol dire “il lodato”. Il piccolo protagonista non è consapevole di questa peculiarità, così da non essere neanche consapevole della sua vera fede. Ma, appunto, ha una vita davanti a sé e il tempo per apprendere chi sia, è ancora possibile.
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