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Venezia80 – Lubo, provaci ancora maestro Diritti

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6 minuti di lettura

Lubo o lobotomia? Il confine per il nuovo film di Giorgio Diritti (regista dell’acclamato Volevo nascondermi con Elio Germano) è molto sottile. Creatività poca, la piattezza e il deserto narrativo regnano sovrani, come se chi ha scritto la sceneggiatura si è sentito in obbligo di riempire una tavola di informazioni senza una logica apparente.

Lubo ha la forma di un film dalle grosse intenzioni, mancano però il coraggio di approfondire a fondo la storia (su un minutaggio che sfiora i 175’) e una generale buona messa in scena. Lubo è appunto quel classico film che porta probabilmente i sintomi di una generica noia e che non cela una manchevole voglia di fare che stronca, soprattutto gli spettatori, una storia solo in apparenza interessante.

La storia di Lubo

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Ecco, dunque, Lubo (Franz Rogowski), uno zingaro di origine svizzera che gira con la famiglia e il proprio carro con lo scopo di organizzare spettacoli per i paesi del Canton Grigioni. È il 1939, la minaccia nazista della vicina Germania incombe, anche su un paese neutrale come la Svizzera. L’esercito recluta quindi tutti gli uomini in grado di imbracciare le armi, da mettere a salvaguardia dei confini elvetici.

Mentre è di stanza, però, Lubo riceve la notizia che la moglie è morta nel tentativo di strappare i figli dalle grinfie dei generali, che li requisiscono secondo i piani di un programma di rieducazione nazionale: il Hilfswerk für die Kinder der Landstrasse, letteralmente, programma per i bambini di strada. Lubo non si darà pace finché non avrà ripreso con sé i tre figli e fatto giustizia nei confronti della moglie.

Produzione italo-elvetica, che ha il doppio scopo di fare da autocoscienza per la Svizzera (il programma di rieducazione fu infatti una delle vicende più contorte dell’epoca moderna del paese), e prossima distribuzione di 01 Distribution, Lubo sa il fatto suo quando si parla di sequestro di persona. Il film, che oltre a Rogowski vanta un cast italiano interessante (a partire da Valentina Bellè, interprete di Margherita), non sa esattamente dove andare a parare.

Ampliare il campo visivo

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Ma andiamo con ordine. Dopo Volevo nascondermi, Diritti ritorna a presentare personaggi esclusi e lasciati in disparte. Se con Germano, però, ritrae un artista tra i più sottovalutati in Italia, con Lubo il cuore della vicenda sposta l’occhio su soprusi, silenziosi e razzisti, delle istituzioni elvetiche. E ciò permette di ampliare la visione su tematiche ancora strettamente attuali. Insomma, il classico film da memorizzare per non ripetere gli stessi errori.

Tuttavia, ad eccezione di un primo atto che quanto meno offre un incipit interessante, la trama viene dilatata in uno spazio di tempo eccessivo, con il risultato di una lunga e indigesta narrazione di fatti astrusi e sconnessi. Basti solo pensare che la ricerca dei figli passa subito in secondo piano, e al suo posto gli elementi istrionici divampano, cercando di intrattenere da un lato, con un erotismo improvviso ma di troppo, e tentando di interessare dall’altro, fallendo miseramente.

Ma il “problema” più grande è la recitazione di Rogowski. Scialba, stanca, malfidente – altrimenti non si spiegherebbe la piattezza nelle espressioni – e in certi punti addirittura incredula, come se lo stesso attore si fosse accorto che qualcosa nel film non funzioni. Come dargli torto. Scene tappabuchi, troppo dilungate, in molti casi per garantire una credibilità maggiore, in altri senza un apparente motivo. In sé non è il tecnicismo intrinseco a un autore che permette la buona riuscita di un film, però c’è da dire che (almeno) Diritti con la macchina da presa il suo lavoro lo porta a casa.

Lubo manca al compromesso con lo spettatore

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Lubo è così una pellicola con tante imperfezioni che, una dopo l’altra, rendono pesante e prolissa la visione. È un film che manca al compromesso con lo spettatore: quando c’è una scena che fa ridere, in sala cade il silenzio; quando si deve provare ansia e adrenalina, si sente invece la pesante stanchezza nell’aria; quando bisogna essere compassionevoli, ci si trova ormai nel torpore del buio. Nel voler dirigere Lubo, Diritti afferma che:

“nello svolgersi degli eventi emerge quanto principi folli e leggi discriminatorie generino un male che si espande come una macchia d’olio nel tempo, penetrando nelle vite degli uomini, modificandone i percorsi, i valori, generando dolore, rabbia, violenza, ambiguità…”

Già, ambiguità.


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Studente alla Statale di Milano ma cresciuto e formato a Lecco. Il suo luogo preferito è il Monte Resegone anche se non ci è mai andato. Ama i luoghi freddi e odia quelli caldi, ama però le persone calde e odia quelle fredde. Ripete almeno due volte al giorno "questo *inserire film* è la morte del cinema". Studia comunicazione ma in fondo sa che era meglio ingegneria.

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