Dal 24 giugno, un nuovo prodotto italiano si affaccia al panorama dello streaming e porta il titolo di Nigredo. Il film di Simone Riccardi si appresta ad incontrare i mondi di Amazon Prime Video, Apple Tv, Google Play, iTunes e Vimeo On Demand, con una scelta ambiziosa e citazionista, che si fa alfiere di un simbolismo alchemico sin dal titolo.
Non a caso la pellicola, distribuita da Whiterose Pictures per una produzione ASZ e Cineproduzioni Mangiasassi, ha vinto nel 2021 il premio per il miglior lungometraggio al First Hermetic International Film Festival (FHIFF), competizione cinematografica a Venezia dedicata all’esoterico e all’occulto.
Ecco quindi che Nigredo si avvale di una cornice di volti esordienti per un’opera ibrida: una miscela alchemica di diversi generi che oscilla tra l’ordine e il caos in una narrazione da decifrare lungo i suoi capitoli.
Nigredo: Opera in Nero
Sin da subito, il titolo e la didascalia in apertura interrogano lo spettatore sulla possibile lettura del film. Nigredo, infatti, identifica la prima trasmutazione alchemica che porta alla creazione della Pietra Filosofale: questa consiste nel processo di putrefazione e disintegrazione della materia affinché i suoi elementi, dopo essere precipitati in uno stato di caos, si possano ricomporre in una nuova sintesi.
Tale concetto abbraccia anche una considerazione psicologica, di confronto dell’Io con la sua Ombra interiore, tale da condurre l’adepto a una morte simbolica per rinascere con una personalità più complessa e rinnovata spiritualmente. Così Nigredo propone un caotico mondo di transizione, correlando il suo tema all’immagine simbolica del pellicano.
Per questo in Nigredo un elemento chiave è un salvadanaio a forma di pellicano: uccello che, nel mondo alchemico, simboleggia l’amore paterno e, in particolare, l’abnegazione con cui si amano i propri figli. Nella sua rappresentazione iconografica, infatti, il pellicano è dipinto con il petto squarciato, da cui sgorga il sangue con cui nutre i suoi cuccioli.
Un turbinio di personaggi fumettistici
Non a caso Nigredo si apre con un prologo muto di un felice siparietto familiare natalizio. Tuttavia, basta poco prima che un bambino, Zeno, assista al taglio della gola di un uomo da parte del padre e dei suoi soci in affari. Passano gli anni e Zeno (Federico Gatti), ormai adulto, è un personaggio new age che ha preso in mano il business malavitoso del padre. Quest’ultimo, all’epoca chiamato La Piuma, era in affari con La Spada, padre di Didi (Margherita Ferrari).
Ora la ragazza, a cui è stata tagliata la lingua da bambina per aver fatto la spia sul padre, è una spietata killer che fa il lavoro sporco per Zeno e che è stata cresciuta sotto la sua ala. Con lui vive in una villa immensa con piscina che il Boss vuole usare come location per le riprese di video lezioni di yoga della sua insegnante, Shanti. Zeno ha infatti problemi di rabbia, che cerca di controllare con il rilassamento spirituale. Non lo aiuta, quindi, scoprire che qualcuno ha cambiato la combinazione della sua cassaforte e che gli è stato rubato qualcosa di prezioso.
Mentre quindi Zeno manda i suoi scagnozzi, Nadine e Cohiba, a cercare di risolvere la questione, conosciamo Bianca (Greta Tossani), sorella del Boss e pittrice in crisi identitaria. Bianca non riesce a trovare la sua direzione artistica ma, grazie a una misteriosa ragazza, Erica, intravede una pericolosa scintilla, che la coinvolgerà in un omicidio, costringendola a richiedere l’aiuto dell’ambiguo Chirurgo (Alberto Sette).
L’omaggio a Pulp Fiction…e non solo
Nella giostra di personaggi e situazioni che attraversano il primo lungometraggio di Simone Riccardi non può che trapelare un chiaro omaggio a Pulp Fiction (1994). Come Tarantino, il regista sceglie di affidare la narrazione del film a una divisione non cronologica in sette capitoli titolati (compresi il Prologo e l’Ultimo Capitolo). A un Boss che incarna la figura antieroica dell’uomo moderno, poi, vengono affiancati due sgherri in completo nero e cravatta gialla, feticci di Vincent Vega e Jules Winnfield.
L’inconveniente di un omicidio non calcolato e le conversazioni da automobile – dove al discorso sulla maionese di Pulp Fiction si sostituisce quello sulle pastiglie per smettere di fumare di Nigredo – riflettono infine la complicità pop dei due uomini. Non manca quindi un’affinità tangibile tra Mr. Wolf e Il Chirurgo come risolutori di problemi, anche se nel film di Riccardi il risolutore ha un altro ruolo nella storia. Tuttavia, al di là della dimensione del capolavoro tarantiniano del 1994, Nigredo si affaccia a un preciso tipo di cinematografia anni Novanta.
Sembra infatti rivedere in Didi, sdraiata a bordo piscina, un omaggio alla Bunny Lebowski dei Fratelli Coen, mentre la sua introduzione biografica richiama il siparietto di O-Ren Ishii di Kill Bill Vol.1. Ecco invece che i coinquilini di Erica, nel loro sottobosco di birre e canne, fanno l’occhiolino a Brad Pitt in Una Vita Al Massimo. C’è quindi in Nigredo una texture pulp citazionista, edulcorata dalla fascinazione estetica per un mondo di personaggi pittoreschi affacciati alla cultura pop nipponica.
Ritratto di un film ambizioso, ma riuscito a metà
Nigredo si colloca in un universo narrativo esteticamente marcato, che si avvale di un preciso immaginario di culto. È il nutrimento di Riccardi, in una dimensione dove la fascinazione pop, a volte, sovrasta però la coerenza narrativa, destando salti nel vuoto a livello di comprensione. Sembra quindi che il regista spinga sull’acceleratore con una scelta ambiziosa, un’opera omaggio, terreno di una sperimentazione simil tarantiniana, che però non riesce completamente.
Il risultato è un prodotto piacevole, con del potenziale, dove però l’elemento innovativo del simbolismo alchemico è difficile da decifrare. Si nasconde dietro l’immagine ipnotica del pellicano, la misteriosa montagna a cui ritornano i sogni di Zeno e il controverso irrisolto del protagonista con la figura del padre. Tutte allusioni lanciate allo spettatore per una decifrazione che però richiede un ulteriore approfondimento dopo il film.
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