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Pinocchio, la poca magia del Live Action Disney diretto da Zemeckis

7 minuti di lettura

Nel Disney+ Day è uscito il nuovo adattamento live action della Disney: questa volta il classico rimaneggiato è quello di Pinocchio, il film d’animazione del 1940 dal romanzo di Carlo Collodi. Alla regia il grande Robert Zemeckis (Ritorno al futuro, Forrest Gump, Chi ha incastrato Roger Rabbit), ma il suo talento, il suo spirito fiabesco e la sua maestria nell’animazione non bastano per salvare un film di cui non si sentiva il bisogno.

La nostalgia che muove i fili

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Il Pinocchio di Zemeckis non è il primo – né sarà l’ultimo – remake live action Disney, un filone di film che ha sempre fatto discutere in quanto perfetto rappresentante dell’Hollywood in crisi d’idee, tra pellicole caratterizzate da un abuso di CGI e storie stravolte o all’estremo opposto identiche alle originali, tanto da far chiedere allo spettatore l’utilità tecnica e storica del prodotto finale. Nonostante si possa rispondere immaginando i produttori tuffarsi in un mare di monete come Paperon de’ Paperoni, è giusto anche analizzare il perché questi prodotti non riescono a entrare nel cuore del pubblico, restando quindi delle visioni brutte o piacevoli (a seconda dei gusti) ma sempre dimenticabili.

I primi trenta minuti di Pinocchio sono indubbiamente ben fatti sul lato tecnico, ma la visione risulta complicata per chi conosce il Classico Disney. È tutto fin troppo uguale al film d’animazione; dai dialoghi, alle inquadrature, alle espressioni e ai movimenti dei personaggi.

Tutto ciò dovrebbe creare una piacevole sensazione nello spettatore che vuole rifugiarsi nel comfort movie e che solitamente apprezza una visione cinematografica dettata dalla nostalgia, ma in realtà il Pinocchio di Zemeckis finisce col trasmettere una sensazione di déjà vu, con lo spettatore ritrovatosi a guardare un film in cui sa già cosa accadrà nell’immediato futuro, ma senza la magia e l’emozione caratteristica dell’animazione Disney del passato.

Qui il primo grosso difetto di queste produzioni: dove dovrebbe esserci la magia, lo stupore e l’emozione, c’è la prevedibilità, la banalità e il fastidio.

Il Pinocchio di Zemeckis appiattisce ogni morale

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Se i primi trenta minuti potevano comunque essere piacevoli per chi non ha mai visto il film d’animazione, lo stesso non si può dire per i restanti settantancique. Il vero grande difetto di quest’adattamento è l’appiattimento della morale, ovvero il punto più forte e caratteristico dell’opera originale.

Tanti bambini sono cresciuti ascoltando con passione i propri nonni o genitori leggergli il racconto di Collodi, ma è con il film della Disney che questa storia è entrata nelle vite di tutti a livello internazionale.

Ancora oggi tanti genitori scelgono questo film per trasmettere degli insegnamenti basilari ai propri figli: l’importanza dell’ascolto verso i propri genitori, la pericolosità nel dare confidenza agli sconosciuti, il rischio delle tentazioni, l’importanza della scuola, l’autorità della propria coscienza e infine l’insegnamento più iconico, quello entrato nell’immaginario comune e di cui Pinocchio ne è orgogliosamente il simbolo, ovvero il valore della sincerità.

Tutto questo nel nuovo adattamento è assente. Pinocchio cede solo inizialmente alle tentazioni del Gatto e la Volpe, poi va a scuola e viene cacciato via perché non sono accettati bambini di legno. Solo a questo punto Pinocchio decide di assecondare i noti furfanti. La stessa cosa accade con Lucignolo: Pinocchio sta tornando a casa, ma si imbatte nel carro diretto al Paese dei Balocchi e viene tirato su come un pesce in una rete. In questo film Pinocchio non cede alle tentazioni (e anzi a volte sembra avere una coscienza reale non collegata al Grillo parlante), ma è sempre vittima degli eventi.

Vedere Pinocchio che si comporta da bravo bambino preclude l’insegnamento scaturito dai suoi errori, per cui smonta interamente il messaggio dell’opera madre. Risulta nullo anche l’insegnamento riguardo il valore della sincerità, che viene appena accennato nonostante il naso che si allunga sia la caratteristica più celebre del personaggio.

Lo scarso impatto delle minacce irreali

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La terrificante scena della trasformazione in asino nel Classico Disney del 1940.

L’ultimo difetto meritevole di un’analisi è quello del senso del pericolo. Il film d’animazione è totalmente sincero verso i suoi spettatori più piccoli, talmente chiaro e diretto nel trasmettere la propria morale che in alcune scene appare terrificante nel mostrare un mondo colmo di minacce, provocando una sana paura, positiva in quanto avvertenza di pericoli realmente esistenti nella vita di tutti i giorni.

Il Pinocchio di Zemeckis sembra invece avere paura di trattare i pericoli reali, rifugiandosi fin troppo negli elementi fantastici. Nel Paese dei Balocchi possiamo notare dei misteriosi mostri di fumo che aiutano il Postiglione nel prelevare i bambini ormai trasformati in asini, mentre sul finale, al posto della balena o del pesce-cane, i protagonisti affrontano un mostro poco definito.

Sul piano filmico sono solo dettagli, ma confermano una tendenza culturale di prodotti che preferiscono distogliere lo sguardo anziché trattare qualcosa di scomodo, talmente preoccupati dalla possibile reazione contraria del pubblico che preferiscono appiattire il tutto, realizzando una via di mezzo edulcorata che non sa di nulla.

Robert Zemeckis alla regia fa il possibile, ma la sceneggiatura (scritta dallo stesso Zemeckis con Chris Weitz) e la produzione (che in questi prodotti pesa come non mai) non ci provano nemmeno a fare qualcosa di utile: un film che non aggiunge niente al cinema contemporaneo, che non trasmette nessun insegnamento e che non dà nessun nuovo spunto a una storia già raccontata tante volte. Un’insipida imitazione patinata di un capolavoro cinematografico, letterario e culturale.


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Classe 1997, appassionato di cinema di ogni genere e provenienza, autoriale, popolare e di ogni periodo storico. Sono del parere che nel cinema esista l'oggettività così come la soggettività, per cui scelgo sempre un approccio pacifico verso chi ha pareri diversi dai miei, e anzi, sono più interessato ad ascoltare un parere differente che uno affine al mio.

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