Nel corso dell’ultimo anno, all’interno del circuito festivaliero (soprattutto a Berlino e a Venezia), tre pellicole sono riuscite a distinguersi tra le molte altre proposte. Questi tre film rispondono allo stesso autore, ovvero il norvegese Dag Jonah Haugerud, il quale con uno di questi film è riuscito a vincere anche l’Orso d’Oro per il miglior film all’80a edizione della Berlinale. I film in questione sono Sex, Dreams e Love, facenti parte dell’omonima trilogia.
Le tre pellicole di Haugerud si inseriscono – come suggerisce il titolo che il distributore Wanted Cinema ha dato in Italia al trittico, ovvero la “trilogia delle relazioni” – all’interno del filone assai battuto nel mondo artistico contemporaneo, soprattutto in quello letterario (vedi l’opera letteraria di Sally Rooney, nello specifico Dove sei, mondo bello e Intermezzo), dell’indagine delle relazioni contemporanee, della loro complessità ma anche della loro bellezza e necessità. Haugerud, tuttavia, si è riuscito a distinguere all’interno del panorama artistico per la sua sensibilità e acutezza nell’indagine di tali tematiche.
Di cosa parlano i film di Haugerud?
I tre film della trilogia Sex Dreams Love non sono in continuità narrativa tra loro, quanto piuttosto condividono degli elementi comuni a livello narrativo e simbolico – come, ad esempio, il fatto che siano tutti e tre ambientati ad Oslo -, che li rende parte di un’unica, grande riflessione sulla contemporaneità, pur avendo ogni pellicola dunque trama e personaggi differenti.
Sex – il primo della trilogia per com’è stata concepita dal suo autore, anche se in Italia sarà distribuito per ultimo, a giugno – racconta la storia di due spazzacamini, colleghi e amici, eterosessuali sposati con figli. Entrambi nel corso del film si trovano a doversi scontrare con la nozione tradizionale di mascolinità: l’uno (Jan Gunnar Røise) continua ad avere sogni ricorrenti in cui David Bowie lo guarda come se lui fosse una donna, l’altro (Thorbjørn Harr) di punto in bianco ha sperimentato per la prima vlta un’esperienza erotica omosessuale.
In Dreams – premiato con l’Orso d’oro a Berlino, e uscito nelle sale italiane il 13 marzo – Haugerud costruisce invece un racconto tutto al femminile: la diciassettenne Johanne (Ella Øverbye) si innamora della sua professoressa (Selome Emnetu), e decide di tenere traccia della sua passione travolgente e bruciante in un libro. Quando farà leggere suddetto libro a sua nonna, poetessa, (Anne Marit Jacobsen) e a sua mamma, editor (Ane Dahl Torp), le due donne dapprima rimangono sconvolte dal contenuto di questo testo, e in seguito, riconoscendone il valore letterario oltre che umano, vagliano la possibilità di pubblicazione.
Nell’ultimo capitolo, Love – in uscita nelle nostre sale ad aprile dopo il passaggio in concorso alla scorsa Mostra del cinema di Venezia, vagamente ispirato al saggio del 2018 di Olivia Laing Città sola, edito Il Saggiatore – i due generi finalmente s’incontrano e si parlano: al centro della pellicola, infatti, vi è l’incontro su un battello tra una dottoressa sulla quarantina (Andrea Bræin Hovig) e il suo infermiere (Tayo Cittadella Jacobsen).
Entrambi sono su quel battello spinti dalla passione: l’una è appena andata via da una festa per paura dei suoi sentimenti verso l’ex marito di una sua amica, l’altro sfrutta quel noto luogo di cruising della zona per incontrare qualcuno con cui passare la notte. Da questo incontro, i due scopriranno modi diversi, ma altrettanto validi, di vivere ed esperire l’amore, che possa durare una notte sola o una vita intera.
Sex, ripensare le relazioni nella Oslo contemporanea
Al centro dei tre film di Haugerud, come si sarà compreso, vi è l’indagine sulle relazioni – sentimentali, erotiche, familiari, amicali – nel mondo contemporaneo. Tema, quest’ultimo, che sembra affascinare molto gli artisti dei giorni nostri, visto il modo in cui il nostro mondo negli ultimi anni è cambiato – dai social media all’accettazione sempre più diffusa di modelli di relazioni queer nella società civile. Una riflessione, dunque, quanto mai urgente e sentita, quella di Haugerud, che costruisce i tre film come se fossero “esperimenti di pensiero” per citare la scrittrice Ursula K. Le Guin.
Le situazioni al centro della narrazione dei tre film servono, in fondo, a fornire degli scenari ipotetici in cui l’autore può riflettere su vari temi come l’identità di genere, il significato delle relazioni amorose nella società odierna, il coming of age e la scoperta di sé, la costruzione e la ricezione dell’arte. Il pretesto narrativo rimane, per l’appunto, solo un pretesto per imbastire ragionamenti, esplorare temi e modelli di vita alternativi (si veda il discorso sulla queerness, approfondito più avanti) e ripensare, dunque, il contemporaneo.
Questo, tuttavia, non vuol dire che la storia all’interno delle tre pellicole sia marginale o inutile: Haugerud riesce a inquadrare i suoi personaggi sì all’interno di un’architettura teorica e di riflessione estremamente centrale, ma al tempo stesso riesce a donare loro vita e corpo in maniera realistica, e non solo funzionale. L’operazione funziona in tutti e tre i film proprio in virtù della capacità dello sceneggiatore e regista di non trattare i suoi personaggi come figurine, come simboli, ma di restituire la loro complessità interiore in maniera realistica e vivida.
I due spazzacamini di Sex, la famiglia tutta al femminile di Dreams e l’improbabile coppia di amicǝ al centro di Love si trovano nel corso delle rispettive pellicole a navigare un mondo in cui le relazioni e i rapporti di genere devono essere rivisti e ripensati, cosa che nel loro piccolo cercano tuttǝ di fare. Più che indagarne le origini, ad Haugerud interessa esplorare le nuove possibilità di relazioni che il mondo può costruire, può creare.
Alla base, tuttavia, vi è sempre una fiducia smodata nei confronti dell’altro, nell’idea che l’altro, l’estraneo da sé possa essere non un nemico da abbattere, ma qualcunǝ con cui confrontarsi e col quale instaurare un rapporto e una riflessione introspettiva personale. Tale fiducia è sostanzialmente poggiata su un dato incontrovertibile, che permette alla trilogia di dialogare con l’opera della scrittrice irlandese citata in apertura: la necessità fondamentale dei rapporti tra le persone. In quanto esseri umani sentiamo questa stretta e forte necessità di creare legami con lǝ altrǝ, sembra dirci Haugerud, anche quando essi vanno rivisti alla luce di una crisi del maschile, dell’eterosessualità come principio ordinatore e “norma” sociale.
Quelle costruite da Dag Johan Haugerud sono delle piccole utopie urbane in cui il giudizio altrui nei confronti della sessualità, dell’espressione di genere e dell’esplorazione della propria identità è inesistente, in cui è possibile liberamente esplorare chi si è. Queste piccole odissee personali son tutte incastonate all’interno della città di Oslo, un vero e proprio personaggio comprimario più che di ambientazione e sfondo delle vicende. Lontano dal ritratto tipico della città scandinava fredda nel clima come nel suo approccio alla vita, la capitale norvegese è invece qui ritratta come calda, accogliente, aperta e libera, un luogo in cui chiunque può trovare il suo posto per ripensare sé stessǝ e la società attorno a sé.
Dreams, il potere delle parole
Dag Johan Haugerud costruisce le proprie pellicole principalmente attraverso la sceneggiatura delle stesse: Sex, Dreams e Love in egual misura sono opere in cui il dialogo tra i personaggi è centrale e fondamentale per l’esplorazione dei temi centrali nelle stesse. I tre film sono opere in cui i personaggi affrontano continuamente grandi discorsi, vivaci dibattiti e discussioni sui temi del genere, delle relazioni, dei rapporti tra loro stessǝ e con lǝ altrǝ.
Tale inclinazione alla parola all’interno del cinema di Haugerud è spiegabile, oltre che per una questione evidente di stile autoriale – l’influenza del cinema di Eric Rohmer, anch’egli autore il cui uso del dialogo e della parola all’interno delle sue opere, pare evidente -, anche con il trascorso e la vita del suo autore: egli, infatti, oltre alla professione di regista pratica anche quella di scrittore e libraio1.
Il ruolo che le parole giocano nel suo lavoro, dunque, è fondamentale, centrale, oltre che evidente all’interno della trilogia: tutti i personaggi si presentano spesso davanti a immense librerie colme di volumi, a sottolineare non solo il loro livello culturale, ma proprio della centralità della parola, della dialettica all’interno del conflitto che viene presentato.
Ulteriore elemento della centralità del dialogo all’interno della trilogia è quello della protagonista di Dreams, una giovane donna ancora alla ricerca di sé, in grado di usare le parole per restituire il caos, il marasma emotivo che la sua prima cotta fa emergere. Proprio il secondo capitolo della trilogia di Haugerud, in effetti, s’incentra pienamente sul senso e sul significato delle parole, e della loro importanza – oltre che dell’arte nel suo senso più lato, ovviamente.
La grande capacità evocativa di Johanne, infatti, intimorisce e affascina al tempo stesso sua nonna e sua madre, le quali si ritrovano a ricordare il loro passato e la loro gioventù e al tempo stesso ad invidiare la loro parente per aver vissuto così intensamente la propria giovinezza, come loro forse non son mai riuscite a fare. La suggestività delle parole della giovane evoca, all’interno della trilogia, la capacità della parola di restituire l’esperienza umana in tutta la sua complessità.
Questa grande centralità della parola, tuttavia, non va ad oscurare l’immagine e la costruzione estetica all’interno della trilogia: Haugerud, infatti, impiega l’immagine e il montaggio nelle sue tre pellicole a sostegno dei dialoghi e della loro potenza lirica ed evocativa. Questo sostegno si concretizza all’interno di Sex, Dreams e Love in inquadrature dall’aura eterea, in grado di restituire con immagini talvolta dal grande afflato simbolico – la scala di Dreams, per fare un esempio su tutti – in grado di mettere in evidenza anche a livello visivo il discorso, le tematiche e il tono che le battute, profondamente liriche, per quanto a volte un po’ dal sapore di carta stampata, sono in grado di evocare.
Love, la queerness come identità o costrutto sociale?
Un elemento che ricorre in tutti e tre i film della trilogia delle relazioni è la queerness di alcuni del personaggi: in Sex, Dreams e Love vi sono personaggi che o scoprono un loro lato o tendenze omosessuali, o si confrontano con un modello di vita vicino a quello queer, lontano dunque dai soliti rapporti eteronormati. La dimensione queer viene presentata all’interno delle pellicole come normalizzata, perfettamente integrata all’interno del tessuto sociale in cui i personaggi si muovono.
La queerness, a ben vedere, viene proposta all’interno delle opere di Haugerud primariamente come uno stile di vita alternativo, lontano dalla eteronormatività dei rapporti sociali tradizionali: uno degli spazzacamini di Sex esplora apertamente una propria fantasia omosessuale andando al di fuori delle norme coniugali; la giovane protagonista di Dreams vive il suo primo amore con una donna intessendo con quest’ultima una relazione “atipica” visti i ruoli di potere che i due personaggi ricoprono; la dottoressa al centro di Love infine usa il modello di cruising2, una pratica tradizionalmente omosessuale, per provare nuove esperienze e nuove modalità di vivire l’amore (nel suo caso, eterosessuale).
Questa visione della queerness come uno stile di vita è stata anche sottolineata dallo stesso regista, come dimostra la sua intervista con Ilaria Feole per FilmTV:
È un fattore (l’elemento queer, nda) molto importante per me, perché mi considero un regista e un romanziere con uno sguardo queer, e credo di averlo sempre inserito nelle mie opere, ma prima lo facevo in modo più sottile; ora, con questa trilogia, lo faccio in modo più diretto. È giusto far vedere che c’è una sensibilità queer nella società, se la si cerca, e che è per tutti: la queerness può essere parte della vita di una persona etero. Si tratta solo di vedere, di prendere atto, e magari di riconoscerla come un’esperienza che può essere interessante anche per gli eterosessuali.3
Per quanto il ragionamento paia coerente con l’idea dell’esplorazione di possibili, alternativi modelli di relazioni nel contemporaneo – e, in questo senso, il mondo queer per sua stessa natura si presenta come alternativa alle relazioni e alle istituzioni eteronormate -, risulta tuttavia inevitabile trovare sospetta questa appropriazione del modello queer da parte di un autore eterosessuale, soprattutto nell’atto di partecipazione ad un modello di cui egli non fa parte (“la queerness può essere parte della vita di una persona etero”).
All’interno della trilogia, difatti, i personaggi che si identificano apertamente come queer sono presenti – tralasciando da questo discorso l’indefinibilità dell’orientamento sessuale del personaggio al centro di Dreams, la quale esplicita la propria ritrosia verso tale etichetta all’interno della pellicola: “Sono queer soltanto perché ho una cotta per Johanna?” – in maniera ridotta, e quando lo sono, come nel caso dell’infermiere Tor in Love, abbandonano quello che è il modello di vita tradizionalmente queer (per come lo intende Haugerud) in favore di una relazione monogama, tradizionalmente incasellata nella dimensione borghese della coppia.
Il significato del termine queerness come complesso di identità di persone al di fuori della dimensione binaria del genere e dell’eteronormatività sociale, dunque, viene abbandonato da Haugerud in funzione di una definizione più ampia, legata a degli stili di vita che paiono lontani dalle norme sociali per come sono sempre state intese. Tale definizione abbraccia, dunque, anche persone e relazioni eterosessuali, che in teoria sarebbero escluse da tale etichetta.
Tale tentativo di ignorare, o quantomeno di marginalizzare, la queerness come dimensione identitaria non può dunque che risultare sospetta, o quantomeno meritevole di nota, pure all’interno di opere che pongono al centro delle relazioni e dei rapporti ineffabili, sfuggenti, in continuo movimento e cambiamento, e che quindi non sono in grado di offrire modelli rigidi a livello sociale quanto più delle potenziali alternative, anche solo come modelli teorici. È facile chiedersi, in sostanza, alla fine delle proiezioni quanto sia giusta tale appropriazione di modelli queer senza una corrispettiva rappresentazione della queerness come identità, intesa come termine ombrello per inglobare varie categorie di persone e di esperienze di vita.
Che sia una pressante questione di rappresentazione o l’impiego infelice di un termine con una precisa connotazione sociale e storica, Sex Dreams Love di Dag Johan Haugerud rimane comunque tra gli esperimenti cinematografici più interessanti e riusciti dell’ultimo periodo, un’opera in grado non solo di restituire con grande sensibilità e leggerezza di scrittura una serie di riflessioni argute sul mondo di oggi, ma anche, attraverso un impianto estetico e cinematografico che ricorda l’opera di Eric Rohmer, riesce a infondere grande speranza: al termine anche solo di una delle utopie urbane di Oslo è davvero difficile uscirne col cuore povero di ottimismo verso lǝ altrǝ, la società e la vita stessa.
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- Fonte: Oslo Literary Agency (https://osloliteraryagency.no/author/dag-johan-haugerud/) ↩︎
- Per approfondire, Giorgiǝ, Breve storia del cruising gay: dal battuage in Italia alla rivoluzione digitale (Quikly Magazine, https://quiikymagazine.com/storia-cruising-battuage/); Alterton Lin, J., Gay Bar. Perchè uscivamo la notte (edizione Minimum Fax, 2023) ↩︎
- Feole, I., Dammi tre parole. Intervista a Dag Johan Haugerud, “FilmTv”, 10 (2025), p. 15 (grassetto e note dell’autore) ↩︎ ↩︎