The Caine mutiny court-martial è purtroppo una delusione. E se iniziamo la recensione del nuovo atteso e postumo film di William Friedkin con questa decisa stroncatura è perché ci aspettavamo non poco. È d’altronde da tre settimane che riviste e quotidiani riempiono le loro rubriche su (giusti) e trascinanti addii a Friedkin. Il regista americano, conosciuto ai più per L’esorcista e Il braccio violento della legge, avrebbe dovuto presenziare il Lido da ospite d’eccezione, ma purtroppo è scomparso il 7 agosto scorso. A Venezia80 dobbiamo accontentarci – si fa per dire – dell’ottimo restauro in 4K del capolavoro del nostro, L’esorcista, e del suo ultimo film testamento.
Di cosa parla The Caine mutiny court-martial?
La storia di The Caine mutiny court-martial fu portata al cinema da Edward Dmytryk nel lontano 1954. Narra la vicenda dell’ammutinamento degli ufficiali di una nave della marina statunitense. Il nevrotico Philip Francis Queeg (Kiefer Sutherland), capitano del Caine, appunto, decide di ritirarsi durante un’esercitazione in acque nemiche; il primo ufficiale, Steve Maryk (Jake Lacy) porterà avanti un ammutinamento nei suoi confronti per negligenza.
La questione finisce al tribunale della marina e l’avvocato Barney Greenwald (Jason Clarke) accetta di seguire il primo capitano nel processo. Il film si incentra totalmente su quest’ultimo, con l’intento vano di imbastire l’intera narrazione sulle evocative testimonianze dei protagonisti in tribunale.
Cosa non funziona nel film postumo di William Friedkin?
The Caine mutiny court-martial è infatti il classico film da Nodo alla gola o alla Carnage; ma, per favore, evitiamo paragoni azzardati. Piuttosto il film di Friedkin è un Perfetti sconosciuti con una insana dose di patriottismo americano sul finale. Al netto di una regia sempre valida del maestro, che quanto meno non annoia l’occhio, e di una recitazione brillante in certi punti (statuaria e iconica è anche l’ultima interpretazione di Lance Reddick) la sceneggiatura si regge su poco.
L’idea di trasporre interi atti di un processo di tribunale in dialoghi e lunghe spiegazioni, che assomigliano, ma non vanno oltre, a flussi di coscienza continui, stanca dopo cinque minuti. La sottile ironia utile (in origine) a strappare qualche risata allo spettatore, sbaglia i tempi. E come se non bastasse, il finale, come detto poco fa, mette definitivamente la parola fine alle speranze di risollevare le sorti del film. Il problema principale, però, è il “come mai” del film: come mai è stato prodotto? Qual è il suo scopo?
The Caine mutiny court-martial, anche i più grandi sbagliano
A note postume del regista, si legge:
“ho intenzionalmente deciso di mantenere la questione del giusto e sbagliato il più ambigua possibile”.
Touché, di sicuro The Caine mutiny court-martial sembra proprio fatto per confondere e tenere sul continuo, ansioso, filo del rasoio lo spettatore. È anche vero, però, che nella visione la credibilità cala minuto dopo minuto. La sensazione, più che di ansia dettata dall’esito ambiguo del processo, è di una sostanziale presa in giro: ci prendono in giro i protagonisti, ci prende in giro l’avvocato del primo ufficiale; e in particolare riguardo a quest’ultimo – che non ci voglia male il bravissimo Jason Clarke, eletto avvocato dell’anno sezione cause perse – con quale fastidiosa morale finale!?
Perché man mano che la trama si districa, la mente si intrica, naviga anch’essa in balia della tempesta insieme al Caine verso la deriva dei dialoghi inconcludenti (cinque minuti per una battuta sulla prolissità del capitano sono da sequestro di persona). Ma anche e semplicemente perché William Friedkin meritava un film testamento diverso. Rimane un contentino, forse uno dei momenti più emozionanti di Venezia80, ovvero la sala che alla scritta “a film by William Friedkin” applaude con immenso e profondo rispetto.
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