A sette anni dal tiepidamente accolto Alien: Covenant, torna la saga sci-fi nata dalla mente di Ridley Scott, che stavolta però cede il timone a Fede Álvarez (La Casa, Man in the Dark). Il regista uruguaiano sceglie di non concludere la trilogia prequel e ambienta il suo Alien: Romulus tra Alien e Aliens – Scontro finale, presentandoci un ritorno alle atmosfere soffocanti che fecero la fortuna del franchise.
Coloni in fuga: la trama di Alien: Romulus
Sulla colonia mineraria di Jackson’s Star vivono la giovane Rain (Cailee Spaeny) e il suo androide difettoso Andy (David Jonsson). I due cercano in tutti i modi una via di fuga dalle pessime condizioni di vita dell’insediamento: l’opportunità si presenta quando il loro amico Tyler (Archie Renaux), sua sorella Kay (Isabela Merced), il cugino Bjorn (Spike Fearn) e Navarro (Aileen Wu) propongono di infiltrarsi sulla stazione spaziale abbandonata Renaissance, orbitante intorno al globo, e rubare delle crio-capsule per dirigersi sul pianeta indipendente Yvaga, verso una vita migliore.
I giovani protagonisti di Alien: Romulus s’imbatteranno però ben presto in qualcosa di terribile, affrontando l’eredità dello Xenomorfo che vent’anni prima aveva fatto strage sulla Nostromo.
Tra il passato e il futuro di Alien
Per Alien: Romulus, Fede Álvarez abbandona le velleità filosofiche dei due prequel, accantonando le domande su creatori e creazione in favore di un ritorno all’horror claustrofobico nudo e crudo. A questo punto chissà se vedremo mai la conclusione della storia dell’androide David di Michael Fassbender: storia che, però, non ha mai davvero fatto breccia nel pubblico e Álvarez questo lo sa bene, proponendoci una messa in scena che richiama direttamente il primo Alien.
L’astronave buia, decadente e opprimente, il pericolo che si cela dietro ogni angolo dei lunghi corridoi, il massacro che si dipana lentamente; nonostante quello che si potrebbe pensare, però, Prometheus e Covenant non vengono totalmente ignorati, ma anzi sono coinvolti in un risvolto di trama piuttosto importante.
Álvarez si diverte a citare, più o meno direttamente, le passate installazioni del franchise, senza scadere però nel fanservice più becero, tranne in una scelta riguardante un vecchio personaggio che potrebbe far storcere più di qualche naso e di cui, oggettivamente, si sarebbe anche potuto fare a meno. Romulus però non usa Alien come una stampella: le somiglianze sono sì forti, ma il regista uruguaiano non ha paura di inventare, re-inventare e proporre soluzioni di messa in scena fresche ed interessanti.
La tensione è sempre alta e le sequenze più prettamente horror sono efficaci e d’impatto. Álvarez sfrutta il proprio ampio bagaglio per combinare varie influenze in un risultato brillante: i richiami a Man in the Dark sono evidenti, sia nelle dinamiche da home invasion invertite che negli inseguimenti al buio soffocante ricchi di pathos; allo stesso modo sono forti i riferimenti videoludici: Alien Isolation, la serie di Dead Space e, in una scena in particolare, a The Last of Us.
La predominanza di effetti pratici, anche per lo Xenomorfo, rende l’orrore molto più reale e tangibile, rendendo giustizia anche ai facehuggers (i parassiti che si colpiscono il volto per impiantare l’embrione) che in Romulus sono una minaccia molto più attiva.
In Alien: Romulus c’è una nuova generazione di vittime sacrificali
In Romulus, assistiamo finalmente ad uno scorcio sulla vita grigia e spenta delle colonie minerarie, quasi di Blade Runner memoria, coerente con il futuro industriale e senza speranza proposto spesso dalla saga; ci si allontana dalla classica impostazione nave riceve segnale – nave scende sul pianeta – equipaggio scopre qualcosa di orribile, grazie ad un core di personaggi non più operai, soldati o colonizzatori, ma giovani e semplici civili in fuga verso un mondo migliore.
Tra film più riusciti ed altri meno, la saga di Alien non ha mai fallito nella sua tradizione di personaggio femminile forte al comando: dall’iconica, leggendaria Ellen Ripley di Sigourney Weaver, passando per Noomi Rapace e Katherine Waterston, ora è il turno di Cailee Spaeny (Civil War, Priscilla) di capitanare il giovane cast. L’attrice ventiseienne è convinta e convincente, più che promossa nel ruolo della coraggiosa Rain; bene anche i suoi compagni, anche se a spiccare più di tutti è David Jonsson nei panni del sintetico malfunzionante Andy, che Rain considera un fratello.
Alien: Romulus dà il suo meglio quando si concentra sull’horror puro, mentre scivola un po’ nel ritmo quando cerca di inserirsi nella continuity di Alien, in particolare quando entrano in gioco le solite dinamiche di potere della compagnia Weyland-Yutani; non si esime nemmeno dall’ormai tradizionale falso finale, caratteristico del franchise.
Nonostante ciò (e il già citato controverso utilizzo di un vecchio personaggio), Alien: Romulus rappresenta un’ottima entrata nella saga, riportandola alle sue vecchie vibes tanto care al pubblico dopo due capitoli piuttosto divisivi. Inizialmente sarebbe dovuto uscire direttamente su Disney+, ma è stato un bene il cambio di decisione: merita una visione sul grande schermo in queste torride serate d’agosto.
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