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Chi segna vince, l’edificante racconto sportivo di Taika Waititi

Chi segna vince, l’edificante racconto sportivo di Taika Waititi

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Dopo Jojo Rabbit, vincitore dell’Oscar per la Miglior sceneggiatura non originale nel 2020, e il decisamente meno acclamato Thor: Love and Thunder – che ha sancito con grande probabilità la fine della collaborazione tra il regista e la Marvel -, Taika Waititi torna al cinema con Chi segna vince, disponibile nelle sale italiane dall’11 gennaio. Ispirata a una storia vera e basata sul documentario del 2014 Next Goal Wins, l’ultima pellicola del regista neozelandese è un’edificante commedia sportiva, che unisce l’incontenibile umorismo grottesco e a tratti demenziale di quest’ultimo, a un racconto di formazione tipicamente americano – cinematograficamente e narrativamente.

Molto più affine a Jojo Rabbit, piuttosto che al resto della sua filmografia, soprattutto per la propensione a servirsi della commedia per esaltare i momenti in cui il racconto si approccia invece a un’emotività e a un sentimentalismo che Taika Waititi ha sempre lasciato intravedere, Chi segna vince è in fin dei conti un film molto ordinario al servizio di una storia straordinaria, e che proprio in questa convenzionalità trova forse la sua essenza più profonda.

Chi segna vince, un elogio ai perdenti

Michael Fassbender in Chi segna vince

Succede spesso che i racconti sportivi che vediamo sul grande schermo abbiano per protagonisti gli sconfitti piuttosto che i vincenti. Succede altrettanto spesso che una storia di rivalsa sportiva diventi il pretesto per una narrazione che si contraddistingua come elogio dei perdenti, di quei losers, intesi anche come falliti, per i quali il cinema americano ha sempre dimostrato un particolare interesse. D’altronde, soprattutto nello sport, le storie più affascinanti sono quelle che ruotano attorno agli sfavoriti, o a vittorie apparentementi impensabili, proprio come in questo caso.

Chi segna vince è una storia di perdenti che si incontrano. Da una parte la peggior nazionale di calcio del mondo: le Samoa Americane. Una squadra che ha subito la peggior sconfitta nella storia dei Mondiali – ben 31-0 contro l’Australia – e che non è ancora mai riuscita a segnare nemmeno un gol. Dall’altra Thomas Rongen – interpretato da un inedito Michael Fassbender -, un allenatore piuttosto irascibile, esonerato dalla federazione statunitense e costretto, in fin dei conti, ad accettare di trasferirsi nelle Samoa Americane per diventare il nuovo allenatore della nazionale. Insomma, un ruolo decisamente poco invidiabile.

Una sfida apparentemente impossibile, si trasformerà per Rogen in un’edificante esperienza formativa. A livello personale, perché gli permetterà di ampliare i propri orizzonti e scendere a patti con un passato piuttosto difficile, e a livello professionale, perché riuscirà finalmente a riscattarsi, al pari dei propri giocatori.

Nello sport come nella vita

Un'immagine di Chi segna vince di Taika Waititi

Come sottolineato precedentemente, Chi segna vince è un film che segue un canovaccio piuttosto ordinario, e che, proprio per questo, poco si discosta dalle classiche commedie sportive. È sufficiente infatti tornare indietro all’anno scorso per trovare un film estremamente simile nelle dinamiche, e quel film è Campioni. In quel caso era Woody Harrelson a vestire i panni di un allenatore di basket propenso all’irascibilità, ed entrambe le pellicole ruotano attorno a una squadra di losers, così come entrambe condividono delle delicate riflessioni su temi socio-culturali di grande attualità: la disabilità da una parte e la transessualità dall’altra, sebbene nel film di Taika Waititi non sia propriamente il fulcro della narrazione.

Chi segna vince oltretutto, ancor più di Campioni, insiste fortemente sulla figura di Rogen, sulle sue contraddizioni, ma soprattutto sul suo lato umano, ancor prima di quello professionale. È lui il centro gravitazionale della pellicola, e come spesso succede, lo sport diventa semplicemente lo sfondo di una storia che in realtà trova la propria linfa vitale nei rapporti umani

E così Taika Waititi cuce intorno al calcio e ai valori dello sport un significativo parallelismo con la vita. In un mondo in cui l’ossessione per il successo è sempre più reale e tangibile, la sconfitta non deve assumere esclusivamente un valore negativo, perché può e deve rappresentare in realtà un punto di partenza verso un’auspicabile crescita, personale o collettiva. La vita, come il calcio, è un gioco, e a volte la vittoria più importante è semplicemente essere felici.


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Sono Filippo, ho 22 anni e la mia passione per il cinema inizia in tenera età, quando divorando le videocassette de Il Re Leone, Jurassic Park e Spider-Man 2, ho compreso quanto quelle immagini che scorrevano sullo schermo, sapessero scaldarmi il cuore, donandomi, in termini di emozioni, qualcosa che pensavo fosse irraggiungibile. Si dice che le prime volte siano indimenticabili. La mia al Festival di Venezia lo è stata sicuramente, perché è da quel momento che, finalmente, mi sento vivo.

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