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Eden copertina

Eden, l’utopia di Floreana secondo Ron Howard

14 minuti di lettura

Cos’è un’utopia? Nel 1516 Tommaso Moro coniò il termine per parlare di un non-luogo, un ideale politico che nasce in reazione a un contesto reale che sembra minare le principali libertà dell’uomo. L’utopia si presenta nelle premesse come una specie di eden, di soluzione escapista e idealista che promette il rispetto di sani valori umani, dove tutto è possibile ed è persino meglio del mondo reale.

Tommaso Moro stesso, però, e con lui tanti altri che hanno provato a ritrarre delle utopie – come ad esempio William Golding in Il signore delle mosche – ci ha insegnato che le utopie non sono tanto immuni al mondo esterno: ben presto la troppa libertà dà sfogo all’individualismo sfrenato dell’uomo, trasformandolo nell’hobbesiano lupo in mezzo agli altri uomini.

Dopo Elegia americana e Tredici vite, il premio Oscar Ron Howard è ritornato nelle sale con Eden, film distribuito da 01 Distribution e presentato in anteprima mondiale lo scorso settembre al Toronto International Film Festival. Tratto dalla storia vera di un tentativo di utopia realizzatosi ai tempi della Seconda Guerra Mondiale.

La trama di Eden

Jude Law in una scena di Eden

Eden si apre con dei fotogrammi che contestualizzano la storia vera attorno alla nuova fatica di Ron Howard. Siamo nel 1929, in piena crisi economica mondiale al seguito del crollo della Borsa di Wall Street e con l’ascesa del fascismo che imperversa sullo sfondo. Il medico Friedrich Ritter (interpretato da Jude Law) assieme alla sua amante Dora Strauch (Vanessa Kirby) scappano dalla Germania per andare nell’incontaminata isola di Floreana nelle Galàpagos.

I due riescono a sopravvivere alle intemperie, con Ritter che addirittura si sradica tutti i denti per sopravvivere a un’infezione. Nel resto del mondo la loro impresa di creare una società utopica e il presunto miglioramento della sclerosi multipla di Strauch attirano talmente tanto l’attenzione che nell’inverno del 1932 i coniugi Heinz e Margret Wittmer (interpretati da Daniel Brühl e Sydney Sweeney) decidono di recarsi lì con la speranza di curare il figlio Harry dalla tubercolosi.

I coniugi Wittmer vengono accolti con molta diffidenza da Ritter e Strauch, e sebbene il dottore li abbia messi in guardia sull’inevitabilità del fallimento della loro nuova vita a Floreana, dopo le prime difficoltà i Wittmer riescono ad ambientarsi e a coesistere pacificamente con quest’ultimi. A peggiorare le cose, però, è l’arrivo di Eloise Wehrhorn de Wagner-Bosquet (Ana de Armas), una sedicente baronessa ossessionata dalla perfezione che ha intenzione di creare un resort per milionari dal nome “Hacienda Paraíso”.

L’arrivo della baronessa, che inizia fin da subito a mettere zizzania fra i primi abitanti di Floreana, è il fattore scatenate che porta questo ideale di utopia a sgretolarsi gradualmente. Oltre a questo, il dottor Ritter si ritroverà a mettere in discussione se stesso e gli ideali che ha professato da sempre, rendendosi presto conto che, quello che «per i buddhisti è il Nirvana e per i musulmani è il paradiso, per lui è una menzogna».

Eden e l’utopia tuttora attuale di Ron Howard

Vanessa Kirby in una scena di Eden

Trattandosi di una vicenda reale, è difficile non dare anticipazioni su quanto accadrà in Eden, ma si cercherà di fare il possibile per anticipare soltanto quegli aspetti del film funzionali alla sua discussione. Come ci dice Ron Howard alla fine del film, quest’ultimo è tratto da un evento storico reale narrato in due diversi libri che raccontano due versioni differenti della stessa storia: Satan Came to Eden: A Survivor’s Account of the “Galapagos Affair” di Dora Strauch e Floreana: A Woman’s Pilgrimage to the Galapagos di Margret Wittmer.

Se consideriamo i titoli dei due libri, si può dire che in Eden Ron Howard abbia cercato – coadiuvato da un cast stellare – di far convergere questi due diversi aspetti della storia di Floreana: da un lato la caduta e la rovina di un’utopia e dunque il suo fallimento a causa della contaminazione proveniente dal mondo esterno e delle sue tentazioni; dall’altro, invece, un’ottica pellegrina che vede il prevalere di valori cristiani (incarnati dai Wittmer) e che porta l’utopia a essere possibile.

Quanto detto trova riscontro in una recente intervista al regista a cura del «Corriere della Sera», dove Howard afferma non soltanto che «La tentazione di fuggire dalla società pare più attuale che mai di fronte alle nostre difficoltà», ma anche come la sola fuga non sia sufficiente a scappare dalle difficoltà. Il regista continua, inoltre, dicendo di ritrovarsi molto nei coniugi Wittmer che «credono nella loro famiglia, di fronte alle incertezze e ai venti di sventura in Europa. Sperano in una vita migliore, [e sono] pronti a fare sacrifici».

In sostanza, il regista di A Beautiful Mind vuole raccontarci, attraverso questo misto fra thriller e survival movie, che da un lato ci sono utopie che falliscono perché non tengono in conto che nessuno è immune all’ingerenza del mondo esterno, e dall’altro le utopie possono essere comunque possibili se si cerca di far coesistere nuovi ideali di società con vecchi valori come quelli della famiglia, del sacrificio e della pace.

L’eden secondo Ritter e Strauch

Un'immagine di Eden

In questo articolo si cercherà, dunque, di parlare delle due facce dell’eden di Floreana: quella della contaminazione della ferocia umana da un lato, raccontata da Dora Strauch, e quella possibile grazie ai valori della famiglia e del sacrificio raccontata, invece, da Margret Wittmer – che fra i protagonisti della storia vera di Floreana sarà quella che sopravvivrà fino al 2000, quando morirà a 96 anni.

La prima faccia dell’utopia di Floreana è rappresentata da due persone agli antipodi che vogliono imporre la propria ideologia: Ritter e la baronessa. Il primo sta scrivendo un trattato di filosofia radicale in cui professa il raggiungimento di una verità ultima e dunque della salvezza attraverso il dolore e il distacco dagli ideali borghesi e dalle sue menzogne. Ritter, inoltre, professa come «dio sia morto ed esista soltanto l’uomo», che deve essere in grado di creare un ideale di società prevenendo l’intromissione di vecchi ideali borghesi e democratici che nel resto d’Europa sono degenerati nel fascismo.

La baronessa, invece, ricorda moltissimo tanti fra colonizzatori e politici – anche attuali – che intendono conquistare nuovi lidi per imporre il proprio edonismo e la propria sregolatezza nel consumo del piacere. Per la baronessa l’isola di Floreana è un modo per poter raggiungere la propria ossessione per la perfezione, da realizzarsi non solo attraverso il controllo del territorio, ma anche attraverso il controllo degli altri come fa con i suoi due amanti Robert Philippson e Rudolph Lorenz – quest’ultimo ingegnere incaricato di realizzare il progetto di resort della baronessa – e il suo servo ecuadoriano Manuel Borja.

Un’ulteriore chiave di lettura per questi due personaggi ce la dà Howard nel momento in cui inserisce un volume de Il ritratto di Dorian Gray, libro preferito della baronessa. Come il protagonista di Oscar Wilde, sia Ritter che la baronessa sono schiavi di ideali illusori – l’incontaminazione dagli ideali borghesi l’uno, la perfezione l’altra – che vogliono difendere a tutti i costi, e per farlo sono disposti ad abbracciare il male e al contempo a farsi seppellire da esso.

L’eden dei coniugi Wittmer e un’umanità ancora possibile

Il cast in una scena di Eden

Nelle parole dello stesso Ritter, l’uomo non può fare altro che lasciarsi abbandonare ai propri istinti bestiali, soprattutto quando, nel caso del dottore, i propri ideali sono minacciati dalle interferenze del mondo esterno e dalla consapevolezza di quanto in fondo sia difficile essere del tutto autosufficienti. Questo è quello che farà proprio il dottore, che ad esempio si lascia sopraffare dalla fame e per questo motivo non ci pensa due volte a rubare da un lato le provviste degli altri e dall’altro a fare del male agli animali, cosa che Dora, influenzata dall’amante, rigetta fino alla fine.

Se è possibile, però, realizzare un eden mantenendo la propria umanità, Eden lo dimostra non tanto attraverso la figura di Heinz, quanto attraverso quella di Margret. Il film più volte si concentra su questo personaggio, anche con dei primi piani che ci mostrano una donna piena di timore verso questa nuova avventura, ma che al contempo interiorizza l’istinto di sopravvivenza grazie al suo attaccamento ai valori della famiglia e del sacrificio.

Margret dà prova di umanità, ad esempio, nel momento in cui, nonostante il carattere provocatorio e sopra le righe della baronessa, accetta di partecipare al suo pranzo di vicinato e convince il marito a prendervi parte, in quanto alla cattiveria della baronessa bisogna rispondere cercando un senso di comunità. Margret rivela la sua umanità anche nel momento in cui dà ospitalità a Rudolph, desideroso di scappare dalla baronessa e dall’isola in generale, o quando vuole regalare delle galline sane a Dora poiché, anche se non sono amiche, non sono comunque nemiche e l’ospitalità non deve venire meno per colpa dell’istinto di sopravvivenza.

Senza anticipare nulla del finale – anche se, chi conosce la vera storia di Floreana sa come andrà a finire Eden –, Margret esprime la sintesi di queste due facce dell’utopia di Floreana: non solo è la donna che conosce il male dell’uomo e il modo in cui contamina l’utopia, ma è anche colei che si rende subito conto di come l’unico modo per far sopravvivere l’utopia è mantenersi attaccati alla propria umanità, cercare di superare il male attraverso il rispetto verso l’altro – unica condizione assieme alla fuga che rende l’utopia possibile.

Le due facce dell’eden di Floreana

Un momento di Eden

Ron Howard ci dimostra con Eden come il paradiso sia sì una menzogna pronta a disintegrarsi a causa dello sfrenato egoismo e narcisismo degli uomini, ma è anche un’utopia in fondo possibile. L’eden di Floreana – isola ancora oggi abitata da un centinaio di persone con un hotel per turisti gestito dai discendenti dei Wittmer – continua a essere possibile nel momento in cui si accetta il fatto che non si può scappare del tutto dal mondo esterno, in quanto farlo significherebbe lasciare spazio alla propria bestialità, ma che si deve accoglierlo ed essere pronti a combatterlo senza cedere all’istinto di sopravvivenza e ai propri istinti ferini.


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