Tutti cercano l’ordine. L’isola che non c’è, qualcosa che è utopia pura. Un costrutto che richiederebbe letteralmente l’impegno di tutti perché si compia. Ma in ogni famiglia ci sono le pecore nere, il mondo è diverso e fatto di attimi, persone, menti che pensano all’unisono cose diverse.
È un altro tipo di ordine quello invece di The Order, dove è in realtà la dottrina di un gruppo di separatisti bianchi del nordovest statunitense (la cosiddetta America profonda) che, tramite rapine e propaganda, intende portare avanti una serie di attentati terroristici alle istituzioni del paese e soverchiare il potere.
Nel nuovo film di Justin Kurzel (Macbeth), in Concorso a Venezia 81, l’ordine è un’aspirazione, sì, distopica e folle, ma anche un ritratto del paese più grande del mondo, quello scelto per essere il predestinato ad anticipare i mutamenti sociopolitici dell’occidente.
L’America, sempre lei…
Per oltre un anno una banda organizzata semina il terrore rapinando banche nell’indifferenza generale delle istituzioni locali. Succede però che arriva in zona l’agente dell’FBI Terry Husk (un intenso Jude Law), che nota da subito il collegamento tra le rapine e i piani terroristici della setta neonazista guidata da Robert Jay Mathews (Nicholas Hoult).
Dietro la spirale di odio che sembra rilegata a una comunità ben separata dal resto del popolo (socialmente e geograficamente) si nasconde però un intero sistema che, se non addirittura patteggia per loro, li tollera. Così, fin da subito The Order mette i puntini sulle i. D’altronde, l’America di oggi è quella spietata, quella che cattura con i video (reel, TikTok, live Twitch, ecc.) e racconta free sulle piattaforme a tutto il mondo lo squallore delle strade periferiche, la mancanza di servizi, le manifestazioni di violenza gratuita della polizia.
Una realtà che anche nel cinema degli ultimi anni è esplosa, e che spesso e volentieri diventa l’ago della bilancia che decreta il successo o il fallimento del film. Si veda Civil war. Se nel film di Alex Garland però gli Stati Uniti divisi e polarizzati vengono rappresentati in un distopico futuro prossimo, The Order torna al contrario nelle strade, nel seme primordiale da dove è nata l’America.
The Order, ieri e oggi
E anche se l’evento è ambientato in un periodo cronologicamente lontano (anni ’80) non lascia però il tempo che trova, e ricerca una sua collocazione attuale. Quella di The Order è una spirale di terrore, al pari di un’emorragia interna che noti solo quando fuoriesce, e che rappresenta l’essenza di un paese in decomposizione, pompata nelle stesse vene della società, incisa nel dna ereditato da padre in figlio.
Ne esce la visione di un mondo sottosviluppato in costante guerra con sé stesso (non è un caso il riferimento all’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021), una rappresentazione che veste panni apocrifi di una realtà ben diversa, come dimostra l’indifferenza del corpo di polizia locale di fronte a volantini neonazisti appesi nel bar del paese (che in particolare è Coeur d’Alene, in Idaho). The Order trasmette, tramite una fitta trama di personaggi, che si rifanno alla classicità del genere poliziesco, uno spaccato autentico e inquietante.
A partire da Jude Law – essere solitario, cowboy iperattivo venuto da lontano – e dai militanti nella setta, ladri indisturbati che strisciano nel sottopelle della società americana. In un film estremamente pulp, spostato in direzione opposta al documentaristico, recettore principale di racconti simili – e da cui non è esente anche Venezia 81, vedi Homegrown – al quale si preferisce mostrare invece la stanchezza di un mondo neoliberista in totale crisi, impersonificato dal volto emaciato di un investigatore dell’FBI, e dall’intraprendenza dell’unico poliziotto locale che decide di non farsi sottomettere.
The Order, tra sguardo e realtà
Una giustizia che esegue effettivamente il suo lavoro è come un corto circuito, o un’epifania, per la realtà che The Order racconta. E il tutto lo fa mettendo in scena un poliziesco spietato dalle atmosfere selvagge del western, in cui lo sguardo è ancora il protagonista principale della scena, e la sola certezza in campo. Un mondo crudo dove il predatore guarda la preda, la scruta a distanza senza essere visto.
Anche perché la realtà di Coeur d’Alene è uno spettro, insondabile se non strizzando gli occhi, impraticabile se non vista attraverso le lenti di un predatore che osserva. Che poi attende, paziente, solo quando l’obiettivo è al centro della mira. Premere sul grilletto, e non si torna indietro. Non solo un film di genere.
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