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Immagine tratta dal film di animazione Flow (2024): il gatto protagonista e il serpentario suo amico osservano da lontano la città all'alba

Flow – Un mondo da salvare (il nostro)

10 minuti di lettura

L’acqua è forse l’elemento più ambiguo della storia umana: ha permesso lo sviluppo della civiltà, è stata simbolo di vita, mezzo di trasporto, mistero da esplorare, energia da imbrigliare; ma anche morte, fango e sudore. L’acqua è anche sempre stata tradizionalmente difficile da animare: fin dagli albori del medium, le onde che si infrangono sugli scogli dell’Apprendista Stregone-Topolino di Fantasia (1940) sono state lo scintillante esempio dell’avanguardia e della cura per i dettagli con cui Walt Disney operava. Da allora non molto è cambiato: simulare fluidi realistici continua ad essere il metro più immediato con cui misurare la qualità dell’animazione o della grafica di un prodotto, anche videoludico.

Per questo la maestria con cui è stato creato Flow – Un Mondo da Salvare (2024) lo rende un testo culturale di inestimabile valore, ben oltre i suoi oggettivi meriti tecnici: la cura con cui l’intero progetto è stato portato in vita dovrebbe veramente spingere produzioni ben più mainstream, come quelle Disney e Pixar, a mettere in discussione le proprie capacità di raccontare con efficacia la più semplice delle storie.

Flow, scambio estetico fra industrie apparentemente lontane

Immagine tratta da Flow - Un mondo da salvare. Il gatto nero protagonista è raffigurato con, sullo sfondo, gli edifici della città

Flow, diretto dal regista lettone Gints Zilbalodis, forte di una esigua ma solida produzione autoriale di corti e film animati, sembra un videogioco: la struttura narrativa è la più classica del mondo videoludico, spostarsi dal punto A al punto B, attraverso sequenze che il film stesso sembra suddividere in livelli.

Il protagonista di queste peripezie è un piccolo gatto nero, accompagnato nel viaggio da un assortito gruppo di animali, nessuno dei quali doppiato. Flow è infatti completamente muto, se non per musiche e suoni diegetici: miagolii, acqua corrente, scricchiolii di legno sono gli unici elementi uditivi che accompagnano il viaggio degli animali.

Flow è ambientato in una non ben specificata zona del Sud-Asia, invasa dall’acqua in una vera e propria inondazione biblica: non c’è un perché, né al conflitto né alla sua risoluzione, ma solo la densa atmosfera che Zilbalodis crea con ogni singola scelta estetica.

Tralasciando la curiosa concomitanza con cui un altro cartone dai temi e dall’animazione simili a Flow sia uscito nei cinema, Il Robot Selvaggio (2024), l’ispirazione dietro al film sta chiaramente nel lato più autoriale dell’universo videoludico. Infatti, i mondi solenni e deserti di Fumito Ueda, game director di capolavori come ICO (2001), Shadow of the Colossus (2005) e The Last Guardian (2016), sono fortemente richiamati in Flow, nella sua illuminazione, nello sculpting con cui sono costruiti i personaggi -vagamente poligonali -, nei design delle scenografie e delle creature, nella generale atmosfera sospesa di cui il film vive.

Ancora, è impossibile non pensare a giochi come Stray (2022), con protagonista un felino in un mondo altrettanto post-apocalittico, oppure Journey (2012), esclusiva Sony che, come il titolo lascia intuire, trova la sua poetica nel viaggio stesso come forma di introspezione ed esperienza rigenerativa. Flow pesca a piene mani dall’estetica di tutti questi lavori per cominciare a invertire un processo culturale che ormai da anni influenza sia l’industria videoludica che quella cinematografica.

Immagine tratta da Flow - Un mondo da salvare, che raffigura uno accanto all'altro, da sinistra, il capybara, il lemure, il labrador e il gatto.

Se è vero che i videogiochi sono sempre più inclini a ricorrere al linguaggio cinematografico per raccontare le proprie storie – basti pensare a cosa sono diventate le cut scenes, i filmati animati, di un moderno Baldur’s Gate o del più classico degli Uncharted -, è anche vero che solo di recente il cinema ha cominciato a volgere il proprio sguardo verso il videogioco come legittima fonte d’ispirazione. A testimoniarlo, una pletora di adattamenti per il grande e piccolo schermo, come The Last of Us (2023), Fallout (2024), Super Mario Bros. (2023), Sonic (2020) e tanti altri.

Eppure, pare che i creativi di Hollywood, per ora, siano riusciti a trasporre solo i semplici contenuti di vari videogiochi, senza realmente intercettarne né l’estetica, né la specificità mediatica. Su quest’ultima si potrebbero fare lunghi discorsi, che non pare consono inserire in questo contesto, ma sull’estetica sono possibili diverse riflessioni: Flow va ad inserirsi nel panorama cinematografico internazionale come il film più facilmente digeribile ad aver correttamente catturato i valori estetici dell’arte videoludica.

Altri titoli decisamente più ostici sono gli ultimi folli lavori di Harmoy Korine, Aggro Dr1ft (2023) e Baby Invasion (2024), oppure ancora i due particolarissimi “documentari” We Met in Virtual Reality (2022) ed il recentissimo Grand Theft Hamlet (2024), girati rispettivamente dentro server online di VRChat e Grand Theft Auto V.

Flow è un meraviglioso punto iniziale da cui il cinema più tradizionale può solo trarre conclusioni positive circa l’imiego di modalità comunicative nuove, che vadano ad infrangere le tradizioni narrative e registiche più stanche, in favore del moderno linguaggio videoludico. Eppure, come accennato nelle prime righe, i meriti di Flow certo non si esauriscono solo all’aspetto visivo.

… e venne il diluvio, cioè le acque sulla Terra

Immagine tratta da Flow - Un mondo da salvare, in cui il gatto è sull'albero di una barca in mezzo al mare.

In questo caso, l’invenzione cinematografica va di pari passo con la vita reale: il triste caso di Tuvalu, un minuscolo arcipelago del Pacifico, a Nord-Est dell’Australia, è simbolico. A causa del cambiamento climatico, l’arcipelago sarà lentamente ed inesorabilmente inghiottito dal crescente livello del mare.

Nel giro di pochi anni, i Tuvaluani saranno costretti a trasferirsi in zone che il governo australiano ha concesso sul proprio territorio come nuova casa degli isolani. La conseguenza forse più assurda è che tutte le isole di Tuvalu sono state scannerizzate e ricostruite nella realtà virtuale, per salvaguardarne la biodiversità e il ricordo, rendendo di fatto Tuvalu la prima nazione interamente digitale al mondo.

Cosa c’entra questo con Flow? Al centro di un film dai toni tanto poetici, ma altrettanto epici, non c’è tanto la paura della fine di tutto, quanto la speranza da trovare nella cooperazione fra individui. La distruttiva acqua di Flow non ha un motivo, né è evidentemente collegata al cambiamento climatico, eppure la totale assenza di esseri umani – appaiata all’ingente presenza di tracce umane come case, barche e sculture – rimanda proprio ad un mondo il cui equilibrio è stato incrinato. Non sono gli uomini ad occuparsi del benessere di questo mondo, forse perché già spazzati via dalla sua furia o forse perché scappati davanti all’onerosità del compito.

Per riportare equilibrio, un gruppo di creature si mette in viaggio su una barca, imparando a convivere e facendo appello a niente più che ai propri istinti primordiali di sopravvivenza. Eppure, l’uomo sembra, nella realtà, non essere particolarmente interessato all’autopreservazione, considerando il negazionismo climatico e l’immobilità dei grandi Paesi davanti alla temuta transizione energetica. Flow, con la sua meravigliosa semplicità, ricorda con efficacia che “siamo tutti sulla stessa barca” e che combattere il cambiamento climatico non è una questione ideologica, ma di semplice sopravvivenza.

Il diluvio universale di Flow ha davvero un elemento magico – o divino, che dir si voglia -, che riguarda ben poco la realtà, ma che, in qualche modo, ci parla più da vicino. In fondo, sarebbe la speranza di tutte le generazioni più giovani avere una sorta di rito da compiere, una bacchetta da agitare per scongiurare questa imminente catastrofe e per aiutare chi di catastrofi ne ha già vissute fin troppe. Infatti, su quest’arca ci siamo tutti, ci siamo noi e non Noè, e spesso ci scordiamo che l’elemento veramente magico di quel racconto biblico è la pacifica co-esistenza di tutte le creature sulla nave: l’arca è convivenza e collaborazione, prima di essere salvezza.

Dedicato a Catania, Valencia, all’Emilia-Romagna e a tutti gli alluvionati del mondo.


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Appassionato e studioso di cinema fin dalla tenera età, combatto ogni giorno cercando di fare divulgazione cinematografica scrivendo, postando e parlando di film ad ogni occasione. Andare al cinema è un'esperienza religiosa: non solo perché credere che suoni e colori in rapida successione possano cambiare il mondo è un atto di pura fede, ma anche perché di fronte ai film siamo tutti uguali. Nel buio di una stanza di proiezione siamo solo silhouette che ridono e piangono all'unisono. E credo che questo sia bellissimo.

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