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Per il cinema “la crisi vera deve ancora arrivare”, intervista a Francesco Perciballi

15 minuti di lettura

Francesco Perciballi è uno dei giovani produttori che da anni cercano un’alternativa alla perversa industria del cinema italiano, vessata da prodotti a scarso rendimento e disastrosi sistemi di finanziamento.

Grazie a una carriera iniziata nel ruolo di attore, proseguita da autore e attualmente vigile nel mondo della produzione, Perciballi ha idea di cosa potrebbe essere il cinema oggi. Per questo ha fondato TIXTER, piattaforma di investimenti dedicata all’audiovisivo.

Il principio è di mettere in contatto idee, investitori, pubblico ed esercenti in un circolo virtuoso che si alimenta delle reali possibilità di mercato. L’innovazione è nel digitale, ci dice più volte, anche se “in Italia nessuno sa davvero cosa sia”.

In tempi di streaming e Covid, torniamo a parlare di cinema e industria esplorando soluzioni, peccati originali e fantasiose promesse. Tra “il Netflix della cultura” e intelligenza artificiale, ecco la nostra intervista con Francesco Perciballi.

In copertina: Christopher Nolan recentemente tornato in sala dopo la riapertura dei cinema a Los Angeles.

Ciao Francesco, volevo farti commentare alcuni dati. Secondo quanto riportato dall’Hollywood Reporter, nel 2020 gli incassi medi del cinema sono diminuiti del 72%, con gli Stati Uniti a guida le perdite con una decrescita dell’80%. Gli esercenti, soprattutto in Europa, puntano il dito verso l’emergenza Covid, ovviamente responsabile dei numeri dell’anno passato, ma la sensazione è che le difficoltà fossero già presenti e i ricavi delle sale, salvo grandi eventi targati Disney, non permettessero a queste realtà di sostenersi. Qual è secondo te il futuro della sala e quali sono modelli virtuosi oggi in Italia?

Il covid ha messo in risalto la crisi dei contenuti e dell’esercizio cinematografico, già in corso da prima della pandemia. Non a caso ho fondato una società nel 2019 che aveva previsto il crollo dell’esercizio cinematografico nel 2025. Il covid ha dato un’accelerata di 10 anni, ed oggi dobbiamo pensare di essere nel 2030, completamente impreparati; tutt’oggi abbiamo una visione del cinema indipendente ferma agli anni ‘90.

Specifico: fatte salve le grandi produzioni italiane che lavorano a livello internazionale, che sono al top dell’industria mondiale, ed escluse dal ragionamento che segue.

Non dobbiamo però cadere nell’errore della “guerra allo streaming”; le statistiche parlano chiaro: le persone che vanno al cinema più spesso sono quelle che fruiscono dei contenuti streaming a casa.

La sala cinematografica ha perso interesse perché si è lentamente trasformata in un franchise delle distribuzioni; gli esercenti, salvo rari casi, hanno perso il contatto col territorio e non hanno più scelta sui prodotti da proiettare. Molti di loro già da anni tenevano le società in piedi solo grazie agli interventi pubblici e questo non può essere sostenibile, soprattutto in tempo di crisi.

Per non parlare dei produttori indipendenti, ormai talmente invischiati nella giostra dei fondi pubblici, che vedono il loro profitto non nel vendere un prodotto cinematografico/audiovisivo, ma nel produrlo e poi chiuderlo in un cassetto. Questi 2 ingredienti non potevano che far esplodere una bolla, prima o poi.

La soluzione è nella tecnologia e in una visione più virtuosa di tutto il sistema. L’utilizzo del digitale (nessuno in questo ambiente sa cosa sia, confondendolo con le piattaforme streaming) può permettere agli esercenti di tornare a galla, dandogli una chiara visione del proprio territorio, e garantendogli la possibilità di una multiprogrammazione liquida e aggressiva. Gli stessi produttori, col digitale, saranno in grado di anticipare le scelte di mercato, e produrre i contenuti più adatti a quel tempo, in quel luogo. Un’arma vincente anche per i piccoli produttori indipendenti, perché è palese come questa sia l’industria delle idee, e chiunque può avere un’idea in grado di scalare il mercato mondiale ed essere venduta. Tutto sta nel saperla piazzare, e non c’è altro modo che il digitale per farsi vedere e “cliccare”.

Serve, dunque, immediata e tanta formazione, ci stanno lavorando le più grandi associazioni di categoria, ma ancora troppo lentamente. Non si stanno rendendo conto che la crisi vera deve ancora arrivare e che tra pochi anni potrebbe anche esserci una brusca virata politica, verso delle forze di governo ostili a questo mondo. Se non diventeremo industria, rimarremo schiacciati. Dobbiamo uscire dal giro del fondo pubblico, dove abbiamo generato imprenditori più bravi a scrivere bandi, che a produrre film.

Prima dell’estate scorsa si è fatto un gran parlare di Drive-in per risolvere la crisi delle sale. Poi il discorso è finito nel nulla, almeno in Italia. In Germania invece hanno aperto 30 nuovi drive-in, e sembrano essere andati molto bene. Cosa ne pensi di queste soluzioni? Proposte percorribili per il futuro della sala in tempi di Covid o operazioni nostalgia?

Sono stato in prima fila in un progetto nazionale di drive-in, offrendo tutto il know-how possibile sulla struttura digitale e la sua ramificazione sul territorio. Come ogni progetto che viene seguito da burocrati nati prima degli anni ‘60, si è perso nella mala gestione della roadmap, con la sola idea di prendere qualche fondo pubblico e metterselo in tasca. Non si è stati in grado di creare un prodotto imprenditoriale volto alla vendita verso i consumatori. Nel frattempo ci si è lamentati, come sappiamo ben fare, con lo Stato; nella realtà dei fatti, con un po’ di impegno e preparazione, oggi avremmo i drive-in aperti da quasi un anno e avremmo potuto arginare un minimo le perdite del settore. Come in Germania, appunto. Ma in Germania non sono italiani, fanno business reale, e non amano i parassiti che invece sovvenzioniamo qui da noi. Ti riporto una frase detta in un consiglio comunale di una città importante italiana, da parte di un rappresentante degli esercenti di quella zona: “Dobbiamo puntare a rimanere chiusi il più a lungo possibile, così lo Stato dovrà pagarci di più”.

Siamo il paese degli imprenditori col cappello in mano, in attesa della mancetta statale. Non può andare avanti così. Non è questo il Paese parassitario, assistenzialistico e nepotistico in cui voglio vivere e far vivere i miei futuri figli.

PS: Non mi hanno ancora nemmeno pagato il rimborso del lavoro svolto, nonostante i 4 soldi, ovviamente pubblici (nostri), che hanno preso senza aver avuto nessun risultato tangibile (e quindi perché li hanno presi?).

Hollywood sta cercando di adattarsi alla drammatica situazione che stiamo vivendo. Le grandi aziende dello streaming ne hanno certo guadagnato, mentre gli Studios storici stanno cercando nuove strade. Penso ad esempio al progetto Warner di portare il proprio listino film in contemporanea su HBO Max e nelle sale. Credi che la distribuzione contemporanea su piattaforme e nelle sale sarà la normalità? E se sì, secondo la tua esperienza, i nuovi spettatori cosa saranno invogliati a scegliere di più tra le due proposte?

Il mercato dello streaming è destinato a crescere vertiginosamente in 10 anni, le cifre saranno da capogiro, imparagonabili al cinema fruito dal vivo. Live e streaming si fonderanno, e abbandoneremo i concetti medievali di “finestra di fruizione” e tante altre regole ormai inutili in questo mondo post-covid. Ci sarà anche una rivoluzione del concetto stesso di “diritto d’autore”, ma non è questa la sede in cui parlarne.
Questo non significa, però, che vedremo calare gli spettatori al cinema, tutto il contrario! Vedremo finalmente sale gestite da giovani imprenditori, imprenditori veri, che multiprogrammeranno serie tv, prodotti locali, documentari che hanno pubblico pre-pagante in quel determinato territorio, cartoni animati nel pomeriggio per i bambini, videogames in streaming la mattina… lavoreranno a stretto contatto con produttori e distributori, aprendo l’industria alle contaminazioni professionali di ogni settore.
Molte altre idee usciranno dalla mente degli innovatori, stanchi di essere messi all’angolo da gente troppo vecchia, nell’animo soprattutto, per continuare a gestire il settore.
Siamo davanti ad una svolta epocale del mercato, proprio grazie alla sua arretratezza e all’ignoranza delle persone che lo hanno malamente gestito fino ad oggi. Ci sarà un salto quantico e in 10 anni ne vedremo delle belle. Sto seguendo progetti innovativi e ambiziosissimi di gaming al cinema, esperienze multisensoriali, e tante altre cose straordinarie che non posso rivelarti. Tempo al tempo.
…e se non ci riusciremo noi nei prossimi 10 anni, lo faranno altri negli anni successivi. Non è “se”, è “quando”.

Qual è la tua idea di cinema per il dopo pandemia e quali progetti stai seguendo nell’ambito di Tixter per percorrerla?

Tixter è una piattaforma fintech (finanziamento tecnologico) che si basa sui principi digitali del social micro e macro influencing. In parole povere siamo un hub di idee, dove le migliori iniziano ad essere “cliccate” dal pubblico, scoperte da un’intelligenza artificiale interna alla piattaforma, messe al vaglio da una enorme commissione di professionisti e poi presentate a micro e macro investitori per un finanziamento privato immediato e sicuro.
L’esatto opposto della situazione attuale.
Noi non vogliamo più vedere produttori attendere 10 anni per il finanziamento di un prodotto, col cappello in mano, a dover ringraziare qualche burocrate.
Siamo per un mercato libero, equo, liquido, dove l’unica cosa che veramente deve contare, sono le idee.

Perché il cinema è l’industria che illumina le idee. E noi vogliamo essere una delle sue tante armi.

Vedrai che dopo Tixter nasceranno altre società innovative in questo campo, spunteranno come i funghi. Già oggi contiamo almeno 2 cloni della nostra piattaforma, e non siamo ancora usciti definitivamente sul mercato.
(l’uscita era prevista per il 3 aprile 2020, ma sai come è andata, ora siamo in attesa delle news sul covid per un’uscita a Cannes 2021, che si terrà a luglio, ma è un momento storico veramente difficile per pianificare cose così importanti, vedremo)

Pensi che l’industria del cinema e la distribuzione italiana siano pronti a un futuro principalmente online? Il progetto di un “Netflix per la cultura” non sembra, alla pratica, il più adeguato e all’altezza della sfida, cosa ne pensi?

No, non siamo pronti. Noi siamo un Paese sempre in ritardo, come i nostri treni (e sì, anche quando “c’era lvi” arrivavano in ritardo, con buona pace di quello che si dice in giro).

Voglio specificare che quando dici “online”, non ti stai riferendo allo streaming, che è solo un frammento del mondo online, ma ad un concetto culturale molto più ampio, che possiamo riassumere in: “il digitale”.

Abbiamo una classe politica vecchia, burocrati vecchi, e gente che non sa ancora accendere un computer seduta su poltrone chiave, in nodi decisionali fondamentali. Ma non possono vivere per sempre. Forse salterà la nostra generazione, ma la prossima avrà la strada spianata, e porterà finalmente questo paese alla normalità.
Non ti parlo di “Itsart” perché rientra nella frase che ti ho appena detto, ed è un progetto morto nel suo principio (proprio perché creato da chi non sa cosa sia il digitale, e lo confonde con lo streaming); il progetto è buono solo a far girare qualche fondo pubblico (i soldi nostri), nelle tasche di chi non se li merita.

La pacchia, però, sta finendo. Arriva una generazione stanca, ma sveglia e piena di voglia di riscatto. Non ce ne sarà per nessuno. Boomer, #statesereni.


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Studente di Media e Giornalismo presso La Sapienza. Innamorato del Cinema, di Bologna (ma sto provando a dare il cuore anche a Roma)e di qualunque cosa ben narrata. Infiammato da passioni passeggere e idee irrealizzabili. Mai passatista, ma sempre malinconico al pensiero di Venezia75. Perché il primo Festival non si scorda mai.

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