Paul Dano sale le scale del Cremlino in una scena del film Il mago del Cremlino di Olivier Assayas

Venezia 82 – Il mago del Cremlino, o il personal shopper di Putin

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In concorso alla 82esima mostra del cinema di Venezia c’è anche Il mago del Cremlino (in originale Le mage du Kremlin), ultimo film di Olivier Assayas, miglior regista a Cannes nel 2016 con Personal Shopper, e autore di Irma Vep (1996). Nel cast di questo suo nuovo film Jude Law e Paul Dano, rispettivamente nei panni di Vladimir Putin e Vadim Baranov, avatar filmico di Vladislav Surkov, l’uomo che ha creato il moderno Zar e ne ha curato l’immagine dopo l’ascesa al potere. Fra i comprimari presenti anche Alicia Vikander e Jeffrey Wright.

Paul Dano e Jude Law sono Putin e il suo collaboratore Vladislav Surkov in Il mago del Cremlino, film di Olivier Assayas in concorso a Venezia 82

Adattamento dell’omonimo libro di Giuliano da Empoli e firmato nella sceneggiatura anche da Emmanuel Carrère, Il mago del Cremlino attraversa la moderna storia della Russia da El’cin al regime totalitario di Putin attraverso gli occhi del suo personalissimo “mago,” che ha inventato il moderno populismo e la dottrina politica della “democrazia sovrana” applicata dallo Zar.

Il mago/lupo del Cremlino

Delle numerose scelte di dubbio gusto presenti ne Il mago del Cremlino, la lingua è la più evidente: tutto il film è parlato in inglese, con solo alcuni attori intenti a fingere un accento russo ed altri che parlano con una distinta inflessione britannica. La scelta, che chiaramente vorrebbe strizzare l’occhio al mercato cinematografico statunitense ed in particolare alla futura campagna Oscar del film, fa storcere il naso; anche perché nel precedente Carlos (2010), miniserie televisiva nella quale Olivier Assayas raccontava i vent’anni di attività terroristica di “Carlos” Ilich Ramirez Sánchez, ogni personaggio parlava la sua lingua natia arricchendo il realismo del film e aumentando l’immersività della storia.

Paul Dano - interprete di Vadim Baranov, avatar filmico di Vladislav Surkov,  l'uomo che ha creato il moderno Zar e ne ha curato l'immagine dopo l'ascesa al potere - risponde a telefono in una scena di Il mago del Cremlino di Olivier Assayas, in concorso a Venezia 2025

Un’altra delle scelte meno fortunate è il casting di Jude Law: Putin è ridotto a una macchietta, con smorfie e manierismi poco convincenti. Allo stesso modo, Paul Dano sembra essere sul set di un altro film: sembra a tratti il Loki di Tom Hiddleston, un super-cattivo da fumettone. E per ultimo Jeffery Wright, che interpreta un accademico di Yale che intervista Baranov attraverso il film, avrà probabilmente ricevuto dal regista indicazioni diverse rispetto agli altri attori: la sua narrazione enfatica poco si confà con la freddezza di tutto il resto.

Il mago del Cremlino è così, un film gelido che non emoziona mai: nella prima metà si occupa degli anni di formazione del suo protagonista cercando di emulare il piglio di The Wolf of Wall-Street (2012), mentre nella seconda opta per un approccio enciclopedico e distaccato. In nessuno dei due casi il film riesce a intrattenere: i due toni si danneggiano a vicenda e manca una coerenza d’opera generale che renda convincente il racconto.

Il mago del Cremlino, gli spunti di riflessione politica

Uno degli aspetti invece più interessanti de Il mago del Cremlino è la sua coerenza tematica con il resto della filmografia di Olivier Assayas: se tutta la complessità registica in Personal Shopper e di scrittura in Carlos sono completamente scomparse, almeno rimane la fascinazione del regista francese nei confronti degli uomini dietro le quinte. Già da Irma Vep si seguivano le vicende di una troupe, mentre nei successivi Demonlover (2002) e Personal Shopper si parla da un lato dell’ambiente produttivo e distributivo del mercato audiovisivo, dall’altro dell’esistenza di certe figure professionali esclusivamente volte a curare l’immagine pubblica di personaggi famosi. In un certo senso, Il mago del Cremlino parla del “personal shopper” di Putin.

Olivier Assayas sul set di Il mago del Cremlino, film su Putin che ha portato a Venezia 82. L'uomo sta gesticolando e dando spiegazioni alla troupe.
Olivier Assayas sul set del nuovo film, Il mago del Cremlino
Credits: Carole Bethuel

Quel poco che funziona de Il mago del Cremlino riguarda le riflessioni sull’operato di Baranov: purtroppo proprio questa parte più interessante è relegata a stringate e superficiali riflessioni, riassunte in pochi scambi di battute e one-liners che vorrebbero essere ad effetto. Fra queste considerazioni due spiccano sulle altre: la creazione di una guerra digitale combattuta tramite il controllo dei media e la strumentalizzazione dell’opposizione politica, possibile grazie al riassorbimento nel sistema di tutte le forme di dissenso, e la “democrazia sovrana.”

Il primo riguarda il coinvolgimento di tutte le frange estremiste all’interno della comune guerra per il controllo combattuta da Putin e il suo consigliere: dai nostalgici sovietici agli skin-head, passando per i terrapiattisti e le gang di motociclisti; l’importante è inondare la rete di contenuti capaci di orientare l’algoritmo e lentamente fidelizzare un pubblico che soltanto in seguito si sarebbe ritrovato infarcito di propaganda filo-russa.

Il secondo punto riguarda invece il modello politico dell’odierna russa: democratica, perché non ci si può permettere nell’epoca moderna di non fingersi democratici, e sovrana perché forte con gli scompigli interni e indipendente da ingerenze estere.

Tutto questo rimane però nel background de Il mago del Cremlino, che invece pare più di tutto essere una vetrina attoriale per la prossima stagione di premi. Assayas ha scelto di barattare l’approfondimento di tematiche complesse per la possibilità di raggiungere un ampio pubblico. Sarà proprio il giudizio di quest’ultimo a decretare se abbia avuto ragione oppure no su questo scambio.


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Appassionato e studioso di cinema fin dalla tenera età, combatto ogni giorno cercando di fare divulgazione cinematografica scrivendo, postando e parlando di film ad ogni occasione. Andare al cinema è un'esperienza religiosa: non solo perché credere che suoni e colori in rapida successione possano cambiare il mondo è un atto di pura fede, ma anche perché di fronte ai film siamo tutti uguali. Nel buio di una stanza di proiezione siamo solo silhouette che ridono e piangono all'unisono. E credo che questo sia bellissimo.

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