Un’adolescente innamorata di un vampiro misterioso e scintillante; una giovane assistente di una modella si interfaccia in modo inaspettato col paranormale; una principessa inglese imprigionata in una gabbia dorata da incubo; un’agente federale affascinata dalle performance di un’artista macabro e viscerale; una proprietaria di una palestra americana incastrata con la malavita locale che si’innamora di una giovane bodybuilder.
Questa breve carrellata di alcuni suoi personaggi permette di vedere come Kristen Stewart abbia avuto, al netto della sua giovane età, una carriera molto variegata e costellata di figure e suggestioni molto diverse tra loro, in produzioni filmiche profondamente eterogenee; il tutto, mantenendo e costruendo una credibilità artistica e professionale che le ha permesso di essere riconosciuta a livello internazionale per le sue performance, fino alla nomination all’Oscar nel 2022.
In occasione del suo 35º compleanno, e nell’attesa di sapere se il suo esordio alla regia di un lungometraggio, tratto da La cronologia dell’acqua di Lidia Yuknavitch, verrà presentato al prossimo Festival di Cannes, ripercorriamo dunque la carriera di Kristen Stewart, dagli esordi nell’infanzia fino alla svolta autoriale europea e statunitense, passando per il successo planetario di Twilight.
Gli esordi della carriera di Kristen Stewart
Kristen Stewart nasce a Los Angeles nel 1990, da genitori già inseriti nel sistema dell’entertainment – madre regista, padre produttore. Sin da giovanissima, riesce a ritagliarsi uno spazio importante all’interno dell’industria hollywoodiana: il suo primo ruolo di rilievo risale al 2002 (a soli 12 anni), all’interno di Panic Room di David Fincher – il suo secondo ruolo accreditato, peraltro.
Nel film, Stewart interpreta Sarah, figlia della protagonista Meg (Jodie Foster), costretta a rinchiudersi nella panic room della loro nuova casa a seguito dell’intrusione di tre ladri. Il film del regista di Fight Club ha rappresentato il primo trampolino di lancio nella fama dell’attrice, il quale le ha permesso non solo di ricevere la lode della critica, ma anche il definitivo decollo a livello lavorativo. L’attrice, infatti, nel periodo che arriva fino ai suoi 18 anni (dal 2002 al 2008), è apparsa in 14 lungometraggi, tutti appartenenti alla macchina hollywoodiana. Prima dell’exploit definitivo con Twilight, Stewart è apparsa soprattutto in due titoli degni di nota: Zathura – Un’avventura spaziale e Into the Wild.
Zathura – Un’avventura spaziale è un film del 2005 diretto da Jon Favreau (The Mandalorian) e basato sul romanzo di Chris Van Allsburg, autore anche di Jumanji. Nel film, Stewart interpreta Lisa, la sorella maggiore dei due protagonisti (Josh Hutcherson e Jonah Bobo) che si ritrova catapultata in un’avventura nello spazio a causa di un gioco da tavola magico. La pellicola fu un iniziale flop al botteghino, ma nel corso degli anni si è conquistata lo status di film di culto, cosa che ha permesso di lanciare ulteriormente non solo la carriera di Stewart, ma anche del piccolo Hutcherson, che qualche anno dopo avrebbe raggiunto la fama attraverso un’altra saga young adult del periodo – quella di Hunger Games.
Into the wild, invece, è l’adattamento dell’omonimo testo di non fiction scritto da Jon Krakauer portato sullo schermo nel 2007 da Sean Penn. Nella storia del vagabondo Christopher McCandless, giovane americano che intraprende un viaggio a piedi attraverso tutti gli Stati Uniti fino a raggiungere l’Alaska, la parte interpretata da Stewart è decisamente minore.
Tuttavia, anche in questo caso, l’attrice appare comunque in un film di relativo successo (per il quale viene addirittura nominata agli Screen Actor Guild Award), che ha generato attorno a sé un vero e proprio culto soprattutto tra i giovani millennial – basti vedere ancora con quanta frequenza citazioni del film vengano pubblicate sulle pagine Facebook di cinema -, oltre a prefigurare un ruolo, questa volta da protagonista, in un altro film dedicato al viaggio, ovvero On the road di Walter Salles (Io sono ancora qui). Soprattutto, è una delle ultime pellicole prima del suo successo di fama globale…
Twilight, il successo e il backlash della critica
Il 2008 è decisamente l’anno di Kristen Stewart: figura in ben cinque pellicole di quell’annata, una delle quali è destinata a cambiare il corso della sua vita. Il 21 novembre 2008 – sia in USA che in Italia – esce infatti il primo capitolo della saga di Twilight, tratta dall’omonima serie di romanzi young adult scritta di Stephenie Meyer.
I libri, pubblicati tra il 2005 e il 2008, erano stati già un enorme successo di pubblico, in quanto sono stati in grado di intercettare un target – le ragazze adolescenti – che non era coperto dal mercato letterario dell’epoca: è proprio a seguito della pubblicazione di Twilight, infatti, che si inizia a parlare di “young adult” come di genere letterario vero e proprio, che da quel momento rappresenta una fetta importantissima del mercato editoriale mondiale – basti anche solo vedere quanto siano discussi i romanzi appartenenti allo stesso genere sul famigerato BookTok.
La trasposizione cinematografica diretta da Catherine Hardwicke (Mafia Mamma, Cabinet of Curiosities, Thirteen) ha, a ben vedere, rappresentato l’equivalente per il cinema del successo dello young adult come genere: la storia d’amore tra Bella Swan (Stewart) ed Edward Cullen (Robert Pattinson), normale adolescente lei, centenario vampiro lui, raccontata in ben cinque film – l’ultimo libro, Breaking Dawn, fu adattato in due film differenti, com’era usanza negli anni ’10 – che hanno incassato un totale di più di tre miliardi di dollari a livello globale.
Un successo, quello della saga, che va ben oltre il guadagno economico: la saga di Twilight divenne, infatti, un vero e proprio fenomeno culturale. Da un lato, orde di adolescenti appassionate del mondo messo in piedi da Meyer invasero cinema, librerie e spazi web per parlare e discutere della saga e dei suoi personaggi; dall’altro, questo imponente consumo culturale ha inevitabilmente influenzato la produzione per adolescenti, permettendo ad altre saghe fantasy, romantiche o young adult di vedere la luce sul grande schermo – Hunger Games, Maze Runner, Shadowhunters, Fallen, giusto per citare alcuni esempi.
Con Twilight, insomma, al cinema inizia ad esserci una proposta di prodotti opposta al fenomeno di Harry Potter – ancora in produzione al tempo -, rivolta ad un target prettamente femminile e leggermente più maturo. Tuttavia, opposto al successo commerciale della pellicola, ci fu anche un’enorme backlash da parte di critica e di (certa parte di) pubblico, che investì soprattutto i due attori protagonisti della saga.
Twilight, infatti, oltre che per essere stato un grande successo, è ricordata anche per l’enorme risposta negativa da parte di critica e di un pubblico prettamente maschile, che giudicava la saga – in particolare i seguiti, vale a dire New Moon (Chris Weitz, 2009), Eclipse (David Slade, 2010), Breaking Dawn – Parte 1 (Bill Condon, 2011) e Breaking Dawn – Parte 2 (Bill Condon, 2012) – come mal realizzata e molto frivola. Basta una veloce ricerca su Rotten Tomatoes per trovare recensioni che parlano della saga nei seguenti termini: “[Eclipse, nda] Continues the mopey saga of sparkly vampires, shirtless werewolves and a heroine so cloyingly vapid she makes Carrie Bradshaw seem generous and self-aware“.1
Proprio questa recensione mette a fuoco quello che è stato considerato uno dei grandi problemi della saga: il personaggio di Bella Swan, e la relativa interpretazione di Stewart. Bella Swan, infatti, nasce come protagonista femminile volutamente vuoto e poco interessante, per permettere a chiunque leggesse il romanzo di rivedercisi e di immedesimarcisi. Portare su schermo un personaggio deliberatamente piatto è quantomeno complesso e, soprattutto per chi lo interpreta, poco intrigante o stimolante.
Il ruolo di Stewart, insomma, era quello di interpretare un personaggio abbastanza vacuo. Questo ha portato l’attrice a impersonare Bella in un modo che è stato percepito da molti come “monoespressivo”, con piccoli manierismi – il sussulto, gli sguardi lanciati ai due bei protagonisti maschili – sgraditi a un certo pubblico. Proprio per queste scelte attoriali, Stewart ha visto nel corso degli anni la sua interpretazione di Bella derisa in recensioni, parodie online e perfino da premi – l’attrice ha infatti ricevuto tre nomination, di cui una vittoria, ai Razzie Awards come Peggior Attrice per gli ultimi tre capitoli della saga di Twilight.
Un backlash continuo per anni, che ha generato anche un forte pregiudizio nei suoi confronti: non è ancora difficile trovare ancora molti cinefili che sostengono che Stewart sia incapace a recitare (pregiudizio che, stranamente, non intacca invece il suo compagno di scena Robert Pattinson, che dalla fine della saga è stato acclamato per il suo lavoro con registi del calibro di Cronenberg, Herzog, Nolan, Denis, Eggers, Joon-ho e così via…).
Forse è anche per questo che, al termine dell’esperienza di Twilight, Stewart decide di cambiare aria e produzioni…
La svolta autoriale, tra Assayas e Larraìn
Terminata l’era di Twilight, dunque dal 2014 fino al 2019, Stewart si allontana decisamente da Hollywood per lavorare primariamente nell’ambito del cinema indipendente e d’autore, sia statunitense sia, soprattutto, europeo. È proprio nel 2014, infatti, che inizia uno dei sodalizi più importanti dell’attrice con il regista e sceneggiatore francesce Olivier Assayas: in quell’anno la vuole nel suo Sils Maria, accanto a Juliette Binoche.
Nella pellicola, Stewart interpreta Valentine, l’assistente di un’importante attrice (Binoche), cui viene offerto un ruolo che la porterà sull’orlo della follia. Il film è la consacrazione dell’attrice nel mondo del cinema d’autore: presentato con grandi lodi al Festival di Cannes 2014, il film le vale il premio Cesàr (gli Oscar francesi, per intenderci) alla Miglior Attrice non Protagonista.
Il successo di Sils Maria porterà Assayas a scegliere Stewart nel ruolo protagonista del suo film successivo, Personal Shopper. Il controverso film – fischiato al Festival di Cannes 2016, ma al tempo stesso premiato per la “mise en scéne“ – racconta la storia di Maureen, personal shopper (vale a dire colei che compra i vestiti di modelle, attrici, o in questo caso influencer) americana stabilita a Parigi che ha appena perso suo fratello gemello. Dopo la tragedia, una serie di messaggi strani – scritti apparentemente da suo fratello – iniziano ad arrivarle sul suo cellulare… Il film è un’atipica storia di fantasmi e di elaborazione del lutto, declinata nel mondo contemporaneo e della moda in maniera originale.
A brillare è proprio Stewart, che regala una delle sue performance migliori: l’attrice riesce a restituire tutta l’inquietudine e il turbamento di un contatto col paranormale, ma anche la determinazione nel riallacciare il rapporto con una figura cara che oramai sembrava persa per sempre. Un’interpretazione, questa, che rivela tutto il talento dell’attrice losangelina.
In generale, oltre all’ottima prova attoriale regalata nel film, il 2016 è stato un altro anno molto felice per Stewart, che ha realizzato ben quattro pellicole, tutte dirette da grandi maestri e nomi affermati della scena arthouse mondiale: oltre ad Assayas, infatti, Stewart appare nei nuovi film di Kelly Reichardt (Certain Women, altra interpretazione degna di nota in questo dramma minimalista al femminile), Woody Allen (Café Society) e Ang Lee (Billy Lynn – Un giorno da eroe).
Attrice oramai inserita nel circolo del cinema d’autore, con una forte credibilità alle spalle, nel 2019 sente di poter tornare nel mainstream con Charlie’s Angels (Elizabeth Banks, 2019), soft reboot della celebre saga televisiva e cinematografica, e con Happiest Season (Clea DuVall, 2020), romcom queer che la vede protagonista al fianco di Mackenzie Davis (Scappa – Get Out, M3gan). Al netto di questo ritorno ad Hollywood, tuttavia, la figura di Kristen Stewart continua ad essere maggiormente appannaggio del cinema d’autore e indie, ed è proprio in questo scenario che nel 2021 regala quella che molti definirebbero la performance della sua carriera.
Spencer di Pablo Larraìn, presentato nel 2021 al Festival di Venezia, rappresenta la consacrazione definitiva per Stewart. Nel film, interpreta la principessa Diana (vista negli ultimi anni anche in The Crown) in un contesto di pura finzione: lo sceneggiatore Steven Knight (Peaky Blinders, A Thousand Blows), infatti, s’immagina il ricevimento natalizio reale del 1991, quello immediatamente precedente alla scelta della principessa del popolo di lasciare la famiglia reale.
A differenza della Lady Diana interpretata da Naomy Watts e da Emma Corin/Elizabeth Debiki, quella della Stewart è una sorta di figura metafisica: è il tentativo di cogliere realisticamente non i manierismi e gli atteggiamenti della principessa, quanto la sua turbolenta interiorità piagata dai disturbi alimentari e da una famiglia troppo ingombrante.
Tale twist permette alla Stewart, dunque, di giocare con la recitazione, libera dall’operazione “Tale e Quale” tipica dei biopic: la sua Principessa Diana, sostenuta dalla sempre superba regia di Larraìn, è la prova definitiva del talento di Stewart. Di questa ottima interpretazione si accorgono tutti sin da Venezia, al punto tale che saranno decine e decine i riconoscimenti che riceverà e a cui sarà candidata tra il 2021 e il 2022, culminati con la nomination all’Oscar per la Migliore Attrice, la sua prima e al momento unica.
Stewart non vincerà quella statuetta – quell’anno a vincere sarà Jessica Chastain per Gli occhi di Tammy Faye -, ma è indubbio che questa sua performance sia rimasta nella memoria dei cinefili di tutto il mondo. Il successo di tale operazione si può vedere anche nei progetti successivi dell’attrice: nel 2022, infatti, riesce a distinguersi nuovamente nel nuovo film di David Cronenberg, Crimes of the future, dove, accanto a Viggo Mortensen e Lea Seydoux, interpreta Timlin, un’agente federale in un mondo distopico dove non si prova più dolore e dove rimane affascinata dalle performance di arte corporale messe in scena dai due protagonisti.
Nel 2024, infine, è la protagonista di Love Lies Bleeding, il secondo eccellente film di Rose Glass, un neo-noir saffico che racconta il lato più grottesco di un’America fatta di gangsters e bodybuilders. Ennesima prova attoriale celebrata nei festival di tutto il mondo, che consolida definitivamente il talento di un’attrice che è riuscita a farsi le ossa fin da giovanissima, ottenendo la dovuta credibilità artistica.
La svolta registica e The Chronology of Water
Una parte meno conosciuta della carriera di Kristen Stewart riguarda la svolta registica che caratterizza il suo percorso artistico dal 2015, anno in cui inizia a dirigere principalmente videoclip musicali e cortometraggi sperimentali. Tra i lavori principali che ha realizzato in questo senso vanno sottolineati, oltre ai videoclip per band come Sage + the Saints e Chvrches, in particolar modo due esperienze: Come Swim e boygenius – the film.
Il primo, datato 2017, è un cortometraggio sperimentale che racconta la giornata di un uomo, approcciando però il suo ritratto per metà in maniera impressionista, per metà in maniera più realista; il progetto, accolto molto bene dalla critica e attualmente visibile su YouTube, è stato presentato al Sundance Film Festival e al Festival di Cannes.
boygenius – the film è, d’altro canto, un progetto molto diverso: un ibrido tra il cortometraggio vero e proprio e il videoclip per alcuni dei brani dell’album the record del supergruppo boygenius – composto da Phoebe Bridgers, Julien Baker e Lucy Dacus. Il corto-videoclip è un’esplosione di creatività e immagini di un’America variegata – tra case a schiera che prendono fuoco, monster truck e un gran lettone dove le tre cantanti sugellano la loro amicizia – in cui le protagoniste possono rivedersi e trovarsi. Una sintesi, insomma, ottimale del loro lavoro artistico assieme.
Il talento di Kristen Stewart non si limita solo al portare in vita personaggi variegati, ma anche al saper costruire immagini potenti e d’effetto. Proprio in questo senso, il suo prossimo progetto sarà l’ennesimo banco di prova. Il suo lungometraggio d’esordio, The Chronology of Water, è ispirato all’omonimo memoir cult di Lidia Yuknavitch, che racconta la storia personale dell’autrice e il suo tentativo di uscire da un nucleo familiare tossico attraverso il nuoto e la scrittura. La particolarità del memoir risiede nella sua struttura, la quale non segue un andamento lineare, prediligendo piuttosto una frammentazione degli eventi, raccontati non seguendo alcun ordine.
“Gli avvenimenti non rispondono al rapporto di causa effetto che vorremmo”, scrive in merito Yuknavitch. Un testo, insomma, particolarmente complesso da trasporre sul grande schermo.
Questo tuttavia rappresenta solo una nuova sfida per Stewart, la cui intera carriera è stata costellata di sfide, reinvenzioni, ripartenze e nuove realtà. Si vocifera che la pellicola possa essere selezionata per esser presentata al Festival di Cannes 2025 – al momento in cui scriviamo, la line up del festival più famoso e influente del mondo non è stata ancora annunciata -, ma, nell’attesa di vedere il film, non possiamo far altro che attendere l’ingresso di Kristen Stewart nel mondo della regia cinematografica, consapevoli del talento cristallino di cui l’attrice losangelina ha avuto modo di dar prova negli ultimi ventitrè anni sul grande schermo.
Seguici su Instagram, Facebook e Telegram per sapere sempre cosa guardare!
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!
- “Continua l’abbattuta saga fatta di vampiri scintillanti, licantropi senza maglietta e un’eroina così stucchevolmente insulsa da far sembrare Carrie Bradshow [la protagonista di Sex and the City, nda] generosa e autoconsapevole”, traduzione nostra ↩︎