Noémie Merlant, Sanda Codreanu e Souheila Yacoub in Le donne al balcone - The Balconettes interpretano tre amiche decise ad affermare la loro libertà femminile contro il patriarcato

Le donne al balcone – The Balconettes, in mezzo alla rivoluzione

9 minuti di lettura

Un cinema rabbioso, sfrontato perché nauseato, una rivolta contro le violenze che riequilibra ogni ingiustizia subita. Disponibile in noleggio digitale, Le donne al balcone – The Balconettes, opera seconda dell’attrice francese Noémie Merlant (già volto iconico, tra gli altri, del Ritratto della Giovane in Fiamme) imposta una grottesca dark comedy da camera, o meglio alla finestra, che guarda a Hitchcock ma ragiona con l’intreccio incalzante e multiforme de Le quattro casalinghe di Tokyo di Natsuo Kirino: improbabili assassine, comprensibili vendicatrici.

Al balcone del patriarcato

Le donne al balcone si apre con la macchina da presa che volteggia leggiadra tra le infinite finestre appiccicate di una Marsiglia torrida e arida come non mai. L’inquadratura – che entra ed esce tra gli spazi per prendere fiato – si ferma su una donna che uccide il marito con una pala da giardinaggio, dopo l’ennesima prevaricazione umiliante. Lei nello stupore sembra però sollevata.

Poco lontano, ma sempre nella stessa visuale di quella violenza improvvisa ma attesa (perché  – capiamo – è una delle tante liberatorie di cui essere confortati), altre tre donne si ritrovano alla finestra. “Solo qui possiamo essere noi stesse” dice una di loro. Un’aspirante scrittrice che ruba storie guardando al di fuori della sua ringhiera (Sanda Codreanu), un’attrice di Parigi travestita da Marilyn che è fuggita dal marito avvocato (la stessa Noémie Merlant), una camgirl abituata a sopportare nell’intimità dello schermo uomini eccitati e allo stesso modo fragili, con lacrime incontenibili impossibili da mostrare altrove (Souheila Yacoub). Tutte e tre si riuniscono allo stesso balcone delle libertà.

Dal lato opposto del loro campo visivo un giovane uomo prestante le attira in intimo alla sua finestra con pose provocanti (Lucas Bravo). Il pretesto di un danno alla sua automobile ed ecco che l’adone alla sera le invita nella sua ricca dimora. Un gioco eccitante, una commedia erotica che è scanzonata finché (e proprio perché) è consensuale. Ma con l’alcol in circolo (condiviso o imposto?) di nuovo la solita gerarchia virile prevale su tutto il resto e così Le donne al balcone all’improvviso vira nell’orrore, nello splatter a cui cercare un senso – narrativo, etico, ideologico.

Le donne al balcone, la libertà di non dare spiegazioni

Le donne al balcone - The Balconettes è un film diretto dall'attrice Noémie Merlant che sperimenta tanti generi diversi per raccontare la rivoluzione femminista contro il patriarcato

Come nel già citato Le quattro casalinghe di Tokyo di Natsuo Kirino – agilissimo tour de force letterario di 650 pagine su un gruppo di quattro amiche sole e ordinarie che diventano complici di un crimine efferato eppure comunque sensato, perché rivolto ad un uomo brutalmente violento nella sua stessa casa familiare – nessuno si aspetta una vendetta al femminile, tantomeno in un Giappone impostato e che deve sempre apparire perfettamente ordinato. Quelle donne – la donna in senso lato – sono insospettabili (persino dalle forze dell’ordine, come accade in una scena iconica de Le donne al balcone) perché mai ritenute capaci di autodeterminarsi, figuriamoci uccidendo altri, vendicandosi di ciò che fino ad allora è sempre stato culturalmente mero appannaggio maschile.

«Che razza di donna sei? / Esattamente come te: ho un marito, un figlio, un lavoro, e sono sola»1 si diceva nel libro di Kirino. Ed è esattamente quello che capitava anche alla protagonista di Dio è donna e si chiama Petrunya di Teona Strugar Mitevska, che in un gesto sconsiderato e inaspettato partecipava senza motivo ad una competizione religiosa riservata a soli uomini. E proprio in quell’assenza di spiegazioni dispiegava la massima libertà perché solo apparentemente insensata.

Un’unica rabbia, infiniti generi per raccontarla

Noémie Merlant, Sanda Codreanu e Souheila Yacoub in Le donne al balcone - The Balconettes interpretano tre amiche decise ad affermare la loro libertà femminile contro il patriarcato

Merlant sperimenta con i generi, teatralizza la messa in scena esasperandola in colori sgargianti ed espressioni strabuzzate, con rallenti e musiche ad alto volume a prevalere su tutto il resto (il jazz sinuoso e sensuale che apre l’estabiling shot iniziale dura ben poco). Le donne al balcone è un cinema furioso, collerico, dalla linea dell’orizzonte inclinata in perenne Dutch angle, capace però di divertire (e divertirsi), attraverso un turpiloquio esplicito in forma di monologo e immagini sempre chiarissime, lampanti (e che qualcuno potrebbe definire per questo anche troppo superficiali e semplicistiche nella loro assoluta trasparenza di sguardo).

C’è infatti dentro di tutto e di più (e se bisogna trovarci un difetto è forse proprio che Le donne al balcone è a tratti fin troppo caotico e sconclusionato): ogni stereotipo di genere incrocia gli altri, in un quadro dilaniante e grottesco inarrestabile – dalle flatulenze in pubblico di cui non vergognarsi, alla medicalizzazione forzata di un ginecologo distaccato che mentre raccoglie l’anamnesi gioca a solitario al computer, fino al più animale occhio maschile, predatore onnipresente in ogni angolo e finestra.

Il fantasma del maschio contemporaneo ne Le donne al balcone

Noémie Merlant, Sanda Codreanu e Lucas Bravo in una scena di Le donne al balcone - The Balconettes, un film inventivo e rabbioso che racconta il fantasma del maschio contemporaneo

Nella travolgente scrittura a quattro mani di Merlant con la sodale Céline Sciamma, ne Le donne al balcone gli uomini sono logori fantasmi lamentosi, anime persecutorie in forma priva di sostanza ma, in una rielaborazione inventiva della classica ghost story, ancora capaci – persino da morti – di essere retorici e problematici. Con il patriarcato stretto nelle mani, più forte (e letale) di loro, affermano un’insicura e vittimistica volontà di onnipotenza.

Il ragazzo “bello e dannato” che appare alla finestra delle tre amiche è anche lo stesso che di professione fotografa voyeuristicamente le donne «cercando la bellezza dell’anima», ma intanto le manipola, le stupra, le considera oggetti di consumo, al più di culto, al pari di «un giocattolo simile ad un bel sogno»2 per citare di nuovo il romanzo di Kirino. È la contraddizione che appare, si manifesta al caldo come un’allucinazione, ma invece è reale e presente problema contemporaneo da affrontare in un modo o nell’altro, come incubo di genere che non risparmia nessuna.

Le donne al balcone, per una nuova femminilità

Noémie Merlant, Sanda Codreanu e Souheila Yacoub in Le donne al balcone - The Balconettes interpretano tre amiche decise ad affermare la loro libertà femminile contro il patriarcato

Il film risponde, scena dopo scena, con una rivoluzione femminile – spregiudicata, sregolata, sovversiva – ormai già irreversibilmente in atto. Rispetto al libro di Kirino già citato – in cui con un approccio più radicalmente nichilista anche nel riscatto femminile persisteva comunque una sostanziale solitudine universale – ne Le donne al balcone tutto è invece permeato da una fiducia purissima nella condivisione sovra-individuale. Si rimane donne autonome, indipendenti, libere di scegliersi e di determinarsi (rivendicando fieramente volgarità e nudità), ma si è anche, tra le tante cose, legate le une alle altre, ognuna con le sue differenze, le sue visioni intime e personali, mai estinte in una forma combattiva e femminista di solidarietà.

Il trittico di amiche protagoniste – diversissime ma saldamente unite – afferma una ferocia incendiaria che da scintilla divampa fiammata, scavalca nella partecipazione attiva dogmi e istituzioni sociali, le esautora mentre afferma amori fluidi, libertà generalizzate che toccano tutte, nessuna esclusa. Cosa significa allora essere femminili o femminee? Una forma libera di sorellanza, una tempesta cinematografica finalmente scoppiata.


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  1. Natsuo Kirino, Le quattro casalinghe di Tokyo, Neri Pozza, 2019, pp. 99-100 ↩︎
  2. Ivi, p. 65 ↩︎

Classe 1998, piemontese, passo costantemente dal buio della sala a quello della camera oscura, sognando sempre un mondo in bianco e nero stampato a mano con la grana fine. Sospeso tra l'immaginazione visionaria di Leos Carax e il realismo magico di Alice Rohrwacher, quando non scrivo di cinema (e per il cinema), studio medicina.

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