Era il 1933 quando James Whale, già acclamato regista dell’horror fantascientifico, tornò al cinema con L’uomo invisibile, la storia di uno scienziato pazzo e del suo siero dell’invisibilità. Oggi, novant’anni dopo, il film dimostra di aver retto alla prova del tempo, dominando ancora le classifiche dei prodotti più apprezzati del suo genere.
L’uomo invisibile, esperimenti scientifici e limiti dell’uomo
Jack Griffin (Claude Rains) è un chimico che sta lavorando al progetto più importante della sua vita: dopo aver trovato la formula di una sostanza candeggiante ed essersela iniettata sottopelle, è diventato invisibile. Si vede dunque costretto a coprirsi il viso con delle bende, e a portare sempre occhiali e guanti per mantenere nascosto il suo segreto. Egli è infatti cosciente che l’invisibilità gli conferisce piena immunità a qualsiasi azione criminosa: comincia così con piccoli scherzi, degenerando sempre più in crimini terribili, tra cui l’omicidio.
Mentre la sua condotta attira un numero sempre maggiore di sospetti, allertando infine la polizia, Griffin si rivolge al suo collega, il dottor Kemp (William Harrigan), costringendolo a diventare il suo tirapiedi. Con obiettivi via via più maniacali di conquista del mondo, l’uomo invisibile viene braccato da un intero villaggio e, tradito dalle impronte sulla neve, è ferito e catturato dalla polizia. In ospedale, riconosce davanti alla sua fidanzata Flora (Gloria Stuart) di aver valicato un confine dal quale l’essere umano dovrebbe tenersi alla larga. La morte lo coglie e l’effetto del siero svanisce, insieme così all’uomo invisibile.
L’uomo invisibile e i mostri della Universal
Nella storia del cinema, gli anni Venti e Trenta sono ancora oggi ricordati come il periodo d’oro dei film fantascientifici a tinte horror. Questo grazie alla casa di produzione Universal, che decise di specializzarsi nella produzione di un filone di film con le seguenti caratteristiche: creature sovrannaturali, atmosfere gotiche, scienziati che giocavano a fare Dio, il tutto con una particolare attenzione agli effetti speciali e al trucco, che dovevano contribuire a rendere il mondo rappresentato il più vivo e angosciante possibile.
Fu così che uscirono nelle sale Il fantasma dell’opera (1925), Dracula, Frankenstein (entrambi nel 1931), La mummia (1932) e Il segreto del Tibet (1935). L’uomo invisibile debuttò nel 1933 per la regia di James Whale, che già aveva dato prova della sua inclinazione per l’horror fantascientifico con Frankenstein.
Gli effetti speciali de L’uomo invisibile
L’uomo invisibile vanta degli effetti speciali che hanno superato il test del tempo, apparendo tutt’oggi eleganti e credibili. Le scene vennero girate in set ricoperti di velluto nero, dal pavimento al soffitto, per evitare i riflessi di luce. Anche Claude Rains, nel ruolo del protagonista, indossava una tuta di velluto nero sotto ai vestiti di scena.
Poiché l’intero corpo di Griffin è invisibile, Rains era obbligato a coprirsi persino il volto con il velluto, diventando cieco e respirando a fatica. I costumisti pertanto inventarono un sistema di respirazione con dei tubi che dai piedi risalivano lungo le gambe dell’attore, fino a giungergli al naso. Si filmava prima l’inquadratura con Rains, poi senza di lui: l’effetto dell’invisibilità era ottenuto con la tecnica del matte painting, sovrapponendo cioè la prima inquadratura sulla seconda, che agiva da sfondo.
Per il movimento e la reazioni di oggetti toccati dall’uomo invisibile, si ricorse a diversi stratagemmi: bottiglie e libri si spostavano con fili di ferro, porte e finestre si aprivano e chiudevano con mani fuori scena, ma un grande contributo era dato anche dagli attori, che dovevano fingere di essere sfiorati, spinti o picchiati da un’entità invisibile.
Due inquadrature in particolare spiccano per la genialità della loro costruzione, basata su effetti speciali meccanici. La prima è quella della bicicletta rubata da Griffin e lanciata a tutta velocità in una strada del villaggio, dove con l’aiuto un binario nascosto e di fili legati in alto si diede l’illusione che il mezzo stesse, a occhio nudo, pedalando da sé. La seconda è, invece, la scena finale della cattura dell’uomo invisibile, tradito dalle sue stesse impronte sulla neve. Per ottenere la parvenza di piedi invisibili in corsa, venne ideato un sistema di piattaforme a forma di impronta, posizionate sotto un velo di sale grosso, che doveva sostituire la neve. Si tiravano dei picchetti e le piattaforme si abbassavano, creando la catena di orme di Griffin.
Perché L’uomo invisibile è ancora un grande film
Con L’uomo invisibile, James Whale ha portato sugli schermi una commedia nera che tuttavia non teme di svelare i suoi risvolti più angosciosi: persino durante le scene più leggere, in cui Griffin ruba cappelli, spintona e fa pizzicotti alla gente, canticchiando e ridendo, non ci si dimentica mai per un secondo della sua pericolosità.
Nonostante il tono a tratti buffonesco della pellicola, aleggia sempre un’atmosfera sinistra attorno al protagonista, confermata poi dai suoi crimini peggiori, come il deragliamento del treno o l’uccisione del poliziotto. Tutto sommato, Griffin è un sociopatico arrogante con in mano un potere incommensurabile, in grado di capovolgere il mondo e di farla franca ogni volta, e non c’è nulla di più temibile di un pericolo invisibile agli occhi.
L’uomo invisibile immancabilmente stupirà lo spettatore odierno anche per i suoi effetti speciali, che sembrano surclassare, per credibilità, quelli della maggior parte dei film contemporanei. Purtroppo oggi, sebbene siamo in possesso di tecnologie migliori, non viene dedicato lo stesso tempo alla cura dei dettagli come si faceva in passato. Tuttavia, non sarebbe neanche corretto dare la colpa agli SFX artists, ovvero gli addetti agli effetti speciali. La colpa è degli studios che pretendono di sfornare blockbuster in tempi ristretti, togliendo a chi di dovere la possibilità di fare un buon lavoro (una piaga riscontrabile negli ultimi film Marvel, ma non solo).
Per chi volesse immergersi in questa storia, consigliamo la visione del capolavoro di Whale, seguita da una pellicola più recente dal titolo omonimo: L’uomo invisibile di Leigh Whannell del 2020, con protagonista Elizabeth Moss, un adattamento moderno del romanzo di Wells, re-immaginato nel contesto di una relazione abusiva.
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