The Lost City è un film furbo. Conosce il grande pubblico di oggi, intercetta i pensieri delle persone quando prendono posto in sala. The Lost City sa perfettamente dove colpire, quando colpire, dove far piangere e quando far strappare una risata, ma non per questo riesce nel suo intento di dare uno spettacolo semplicistico e di intrattenimento puro.
Disponibile dal 21 aprile al cinema, distribuito dalla Eagle Pictures, scritto e diretto da Adam e Aaron Nee, The Lost City fa leva su un cast stellare e una sceneggiatura che sa già di comfort movie.
La trama di The Lost City
La giovane scrittrice di successo Loretta Sage (Sandra Bullock) viene rapita da un miliardario facoltoso, Abigail Fairfax (Daniel Radcliffe) e, trasportata con la forza nella giungla, è costretta ad aiutarlo nella ricerca di un tesoro nascosto da cui la stessa Sage si è ispirata per i suoi libri e di cui possiede una conoscenza approfondita, complice l’esperienza condotta con il suo marito archeologo, ora drammaticamente defunto. All’avventura però la insegue il modello Alan (Channing Tatum).
La storia passa radicalmente dal dramma umano, una scrittrice vedova con crisi d’identità e blocco dell’artista, alla ricerca speleologica tra rovine di civiltà nascoste simil-Indiana Jones, con annesso un ampio bagaglio di comicità sul momento. Forse per questo, dal primo minuto The Lost City convince poco: la trama sembra strutturarsi su più piani dando manforte ai Nee, i quali dovrebbero essere in grado di saper gestire una sceneggiatura su più fronti e incipit narrativi.
The Lost City e la sua capacità nell’ingannare il pubblico
Si è detto bene: dovrebbero. Perché in realtà in The Lost City vige la legge del: se le cose vanno per il peggio, quelle possono solo peggiorare (e anche in sceneggiatura le cose sono scivolate radicalmente dalle mani). A un villain dall’introduzione assai intrigante, che ricorda un po’ il modello di un tipo di personaggio già visto al cinema – l’ultima volta che viene in mente è il cattivo interpretato da Samuel L. Jackson nel primo film della saga dei Kingsmen – si passa a una struttura di Abigail Fairfax confuso e semplicemente ignoto: si sa poco dei suoi piani, dei suoi obiettivi, è insensatamente cattivo e cinico.
Ciò si unisce alla coppia Bullock e Tatum che stroppia in molti punti, concentrati a creare situazioni narrative comiche che funzionano a metà. Se infatti di per sé la storia d’amore e d’avventura non coinvolge affatto lo spettatore, che al contrario si ritrova ingabbiato nell’ennesimo dramma alla ricerca di sé stessi e dove il vero tesoro non è costituito da monete d’oro sonanti, uno dei motivi per cui in The Lost City scorrono i minuti senza pesantezza, è la sdrammatizzazione in atto, causata da una situation comedy proprio da serie televisiva.
Come dimenticare la comparsata di Brad Pitt (che tra l’altro in dieci minuti eclissa il resto del cast), il quale interpreta un avventuriero ed ex-militare che aiuta Channing Tatum nella ricerca della Bullock. Ma come è anche impossibile scordare la decisione dei fratelli Nee di posizionare le chiappe nude di Tatum, in primo piano, in una scena controcampo con la partner.
Ricapitoliamo, The Lost City è un film furbo. E lo è proprio per queste iniziative goliardiche che però, spesso e volentieri, non si amalgamano con la trama principale, rimanendo distaccate quanto basta da far dimenticare la sottesa banalità celata dietro l’ennesimo film in cui l’oro non è rilevante se comparato all’amore vero, macchina motrice della pellicola.
The Lost City: chi si accontenta gode
The Lost City inciampa nella sceneggiatura, scodinzola al pubblico come un cane da passeggio e fa il lavoro che deve, non prendendosi nemmeno troppo sul serio. A vederlo ricorda un tentativo (riuscito a metà) di svecchiare il genere d’avventura attraverso lo schema tipico della commedia di pancia in salsa satirica. È una tendenza già vista col film spionistico: la saga dei Kingsmen citata prima d’altronde fa proprio questo gioco. Ma a differenza della trilogia ideata dalla mente geniale di Matthew Vaughn (tratta dagli omonimi fumetti di Mark Millar, ndr), The Lost City assomiglia più alla versione discount di qualsiasi Indiana Jones mai fatto.
Ma beninteso: discount non nel senso di scadente, il comparto tecnico è nella norma hollywoodiana; bensì nel senso che si dimostra un film poco coraggioso in quello che vuole dire, ma abbastanza goliardico e libertino in quel poco che ha da mostrare. È proprio il caso di dire che The Lost City è un film opportunista, da multisala, la domenica pomeriggio, dopo il pranzo di nonna. E va bene così, solo però se si è concordi nell’affermare che chi si accontenta gode.
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