Tutta la luce che non vediamo é un celebre romanzo pubblicato nel 2014 che è valso al suo autore, Anthony Doerr, il Premio Pulitzer per la narrativa un anno dopo. Non solo: il libro ha riscosso talmente tanto successo da diventare un Bestseller del New York Times e l’omonima miniserie è arrivata su Netflix il 2 novembre.
Quattro puntate da meno di un’ora l’una, un cast di livello che comprende Mark Ruffalo e Hugh Laurie e una produzione a cui non serve introduzione formale, a partire dalla regia di Shawn Levy (Stranger Things) alla colonna sonora firmata James Newton Howard (compositore delle saghe di Animali Fantastici e Hunger Games); quando poi la ciliegina sulla torta è Steven Knight, ideatore e sceneggiatore di Peaky Blinders, a questa serie il posto in Top 10 non lo leva proprio nessuno.
Bisognerà vedere quanto tempo vi rimarrà; questo perché a dispetto del suo curriculum encomiabile Tutta la luce che non vediamo non é luminosa come promesso, men che meno all’altezza dell’opera a cui si è ispirata.
Di cosa parla Tutta la luce che non vediamo
Lo scenario é il piccolo paese di Saint-Malo poco prima della cacciata dei nazisti dal suolo francese. Marie-Laure LeBlanc (Aria Maria Loberti) è una ragazza cieca che attende con impazienza il ritorno del padre, e che ogni sera sfrutta il suo broadcast in radio per trasmettere agli alleati preziose informazioni. Ad ascoltare segretamente la sua voce è Werner Pfenning (Louis Hofmann, protagonista di Land of Mine: Sotto la Sabbia e Dark), un giovane tedesco incaricato di intercettare messaggi in codice ma senza la minima intenzione di denunciarla.
Due ragazzi che lottano per sopravvivere alle bombe di Saint-Malo, con in comune soltanto una frequenza radiofonica: quella su cui entrambi si sinttonizzavano da bambini per ascoltare un uomo, il Professore, raccontare i misteri e le meraviglie del mondo.
Tutta la luce che non vediamo, i pochi picchi di brillantezza
Ció che piú abbaglia della miniserie di Shawn Levy é l’aspetto estetico. In primis la scenografia cosí ricca di dettagli (il modellino di Saint-Malo spicca, in particolare) e la scelta meticolosa delle location per le riprese, suggestive e storicamente fedeli al contesto. Cosí accurata, elegante, e ulteriormente arricchita dalla colonna sonora di James Newton Howard, Tutta la luce che non vediamo si presta a essere vista d’un fiato e in effetti potrebbe benissimo essere un film, per la sua brevità.
Non sarebbe probabilmente una visione soddisfacente, ma una di quelle di cui si apprezzano i punti piú alti (meglio dire brillanti, per restare in tema di luce). In questo caso i picchi sarebbero un’aura storica dal fascino irresistibile, un cast ad hoc di volti amati e piacevoli scoperte, e un esplicito incoraggiamento a non lasciarsi plagiare da realtà fallaci rimanendo sintonizzati, proprio come una radio, sulla nostra frequenza.
Fattori meritevoli ma non sufficienti per permettere a Tutta la luce che non vediamo di abbagliare il pubblico giá amante del romanzo, né quello ignaro della sua esistenza ma con alle spalle un passato di film e Serie TV.
La luce che non vediamo é ció che la serie poteva essere
La scelta del format miniserie per adattare un romanzo è ideale quando si ha per le mani materiale difficile da sfoltire, un mezzo prezioso per rinunciare quanto meno possibile a tratti di storyline. Tutta la luce che non vediamo sembra invece il prodotto di un’opera di ritaglio spacciata per innocente smussamento e rifinitura, come si evince dalla durata insufficiente delle puntate e dalle cadute di qualitá (inaspettate) del copione.
La colpa non è affatto del processo di adattamento, che più di una volta ha saputo dar vita a prodotti degni. Sorvolando la gestione sproporzionata dei flashback (troppo spesso prevaricanti rispetto al resto della trama), l’errore più grande di questa serie é stato peccare di presunzione e dimenticare che non sempre é accettabile la licenza poetica, soprattutto se ingiustificata e palesemente fuori contesto.
Per Tutta la luce che non vediamo il tracollo é dovuto a un finale alternativo spacciato per la versione ottimista del suo originale, non solo per nulla credibile ma anche forzatamente stucchevole e uguale a tanti altri di tante altre storie; anche abbozzato e povero di struttura, il che rende ancor più incredibile che provenga da Steven Knight. La soluzione per fortuna è a portata di portafoglio. Basta acquistare il romanzo di Anthony Doerr, leggerlo tenendo a mente il volto del cast (perché no) e avere un assaggio della luce che non ci hanno fatto vedere. Ovvero, tutto ció che si é meritato il Premio Pulitzer.
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