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Tutta la luce che non vediamo

Tutta la luce che non vediamo, briciole di un Premio Pulitzer

6 minuti di lettura

Tutta la luce che non vediamo é un celebre romanzo pubblicato nel 2014 che è valso al suo autore, Anthony Doerr, il Premio Pulitzer per la narrativa un anno dopo. Non solo: il libro ha riscosso talmente tanto successo da diventare un Bestseller del New York Times e l’omonima miniserie è arrivata su Netflix il 2 novembre.

Quattro puntate da meno di un’ora l’una, un cast di livello che comprende Mark Ruffalo e Hugh Laurie e una produzione a cui non serve introduzione formale, a partire dalla regia di Shawn Levy (Stranger Things) alla colonna sonora firmata James Newton Howard (compositore delle saghe di Animali Fantastici e Hunger Games); quando poi la ciliegina sulla torta è Steven Knight, ideatore e sceneggiatore di Peaky Blinders, a questa serie il posto in Top 10 non lo leva proprio nessuno.

Bisognerà vedere quanto tempo vi rimarrà; questo perché a dispetto del suo curriculum encomiabile Tutta la luce che non vediamo non é luminosa come promesso, men che meno all’altezza dell’opera a cui si è ispirata.

Di cosa parla Tutta la luce che non vediamo

Tutta la luce che non vediamo 2

Lo scenario é il piccolo paese di Saint-Malo poco prima della cacciata dei nazisti dal suolo francese. Marie-Laure LeBlanc (Aria Maria Loberti) è una ragazza cieca che attende con impazienza il ritorno del padre, e che ogni sera sfrutta il suo broadcast in radio per trasmettere agli alleati preziose informazioni. Ad ascoltare segretamente la sua voce è Werner Pfenning (Louis Hofmann, protagonista di Land of Mine: Sotto la Sabbia e Dark), un giovane tedesco incaricato di intercettare messaggi in codice ma senza la minima intenzione di denunciarla.

Due ragazzi che lottano per sopravvivere alle bombe di Saint-Malo, con in comune soltanto una frequenza radiofonica: quella su cui entrambi si sinttonizzavano da bambini per ascoltare un uomo, il Professore, raccontare i misteri e le meraviglie del mondo.

Tutta la luce che non vediamo, i pochi picchi di brillantezza

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Ció che piú abbaglia della miniserie di Shawn Levy é l’aspetto estetico. In primis la scenografia cosí ricca di dettagli (il modellino di Saint-Malo spicca, in particolare) e la scelta meticolosa delle location per le riprese, suggestive e storicamente fedeli al contesto. Cosí accurata, elegante, e ulteriormente arricchita dalla colonna sonora di James Newton Howard, Tutta la luce che non vediamo si presta a essere vista d’un fiato e in effetti potrebbe benissimo essere un film, per la sua brevità.

Non sarebbe probabilmente una visione soddisfacente, ma una di quelle di cui si apprezzano i punti piú alti (meglio dire brillanti, per restare in tema di luce). In questo caso i picchi sarebbero un’aura storica dal fascino irresistibile, un cast ad hoc di volti amati e piacevoli scoperte, e un esplicito incoraggiamento a non lasciarsi plagiare da realtà fallaci rimanendo sintonizzati, proprio come una radio, sulla nostra frequenza.

Fattori meritevoli ma non sufficienti per permettere a Tutta la luce che non vediamo di abbagliare il pubblico giá amante del romanzo, né quello ignaro della sua esistenza ma con alle spalle un passato di film e Serie TV.

La luce che non vediamo é ció che la serie poteva essere

Tutta la luce che non vediamo 3

La scelta del format miniserie per adattare un romanzo è ideale quando si ha per le mani materiale difficile da sfoltire, un mezzo prezioso per rinunciare quanto meno possibile a tratti di storyline. Tutta la luce che non vediamo sembra invece il prodotto di un’opera di ritaglio spacciata per innocente smussamento e rifinitura, come si evince dalla durata insufficiente delle puntate e dalle cadute di qualitá (inaspettate) del copione.

La colpa non è affatto del processo di adattamento, che più di una volta ha saputo dar vita a prodotti degni. Sorvolando la gestione sproporzionata dei flashback (troppo spesso prevaricanti rispetto al resto della trama), l’errore più grande di questa serie é stato peccare di presunzione e dimenticare che non sempre é accettabile la licenza poetica, soprattutto se ingiustificata e palesemente fuori contesto.

Per Tutta la luce che non vediamo il tracollo é dovuto a un finale alternativo spacciato per la versione ottimista del suo originale, non solo per nulla credibile ma anche forzatamente stucchevole e uguale a tanti altri di tante altre storie; anche abbozzato e povero di struttura, il che rende ancor più incredibile che provenga da Steven Knight. La soluzione per fortuna è a portata di portafoglio. Basta acquistare il romanzo di Anthony Doerr, leggerlo tenendo a mente il volto del cast (perché no) e avere un assaggio della luce che non ci hanno fatto vedere. Ovvero, tutto ció che si é meritato il Premio Pulitzer.


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Classe 1996, dottoranda in Ingegneria Industriale all’Università di Napoli Federico II, il cinema è la mia grande passione da quando ho memoria. Nerd dichiarata, accanita lettrice di classici, sogno di mettere anche la mia formazione scientifica al servizio della Settima Arte. Film preferito? Il Signore degli Anelli.

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