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Da Il Libro della Giungla a Crudelia: abbiamo davvero bisogno dei live action?

11 minuti di lettura

Correva l’anno 2016, e nelle sale cinematografiche usciva Il libro della giungla di Jon Favreau, remake Disney del classico del 1967. Il percorso che avrebbe portato sempre più film d’animazione nel mondo dei live action era da poco iniziato, sino a giungere al più recente Crudelia con Emma Stone. Già in Il libro della giungla, del factotum Jon Favreau, mente dietro al nuovo mondo televisivo di Star Wars, si comunicava a nostalgici e progressisti: ritroviamo i personaggi che già conosciamo e le celebri musiche – anche se rielaborate e in alcuni casi più cupe – ma la storia ha una struttura leggermente diversa e utilizza come fonte non solo l’opera Disney, ma in parte anche i racconti di Rudyard Kipling, a cui sono aggiunte qua e là situazioni divertenti. Il punto di forza dell’opera è però senza dubbio la grafica, che ha permesso la creazione di scenari spettacolari e di animali della giungla estremamente realistici.

Pregi e difetti del live action de Il libro della giungla

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Scena tratta dal live action de Il libro della giungla

Uno dei grandi cambiamenti decisi da Favreau è la complessità del protagonista: nel live actionMowgli vorrebbe restare nella giungla, ma per non mettere in pericolo il proprio branco decide di allontanarsi, forse spinto anche dalla costante sensazione di essere diverso dai suoi fratelli lupi. Si tratta di una decisione matura, di un senso del dovere che se da un lato stride con l’immagine di Mowgli che abbiamo dal cartone del 1967, dall’altro lancia un messaggio molto più adulto. Le scelte del cucciolo d’uomo sono poi in alcuni casi alimentate dalla vendetta, anche qui una caratteristica che si allontana dal personaggio che già conoscevamo.

Nonostante i cambiamenti e il pubblico un pochino più grande a cui è rivolto, il film non stravolge il suo predecessore e rimane in perfetto stile Disney, perdendo l’opportunità di dare un’interpretazione nuova all’opera di Kipling.

La pellicola quindi risulta piacevole, intrattiene ed è indubbiamente ben fatta, ma si ha comunque la sensazione di vedere qualcosa di già conosciuto e non del tutto necessario. Una sensazione non nuova per quanto riguarda le creazioni Disney e a cui ci dovremo presto abituare. Se dovessimo definire l’ultimo periodo della multinazionale, lo chiameremmo proprio l’era dei remake. Oltre ad alcuni nuovi titoli sono infatti in programmazione numerosi remake in live actionsequelprequel e chi più ne ha più ne metta.

Sequel e remake tra nostalgia e originali irraggiungibili

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La bella e la bestia nel film originale Disney a sinistra e il live action a destra

In realtà il fenomeno non è nuovo: già negli anni Novanta uscirono i primi seguiti, partendo da Aladdin (Il ritorno di Jafar, 1994 e Aladdin e il re dei ladri, 1996) passando da Cenerentola e La Sirenetta (ben due seguiti ciascuno, ma di scarso successo) e arrivando fino a Toy Story, che darà nel giro di qualche anno il suo quarto frutto. Se un sequel vuol dire vendite sicure – chi non è curioso di sapere che fine faranno Buzz e Woody? – l’opinione comune è che i seguiti non superino mai (a volte nemmeno eguaglino) il primo capitolo.

Ma più che i sequelgli ultimi anni hanno visto l’affermarsi dei remake in live action. Le nuove tecnologie offrono la possibilità di rendere veri i personaggi che hanno fatto la storia della Disney, anche gli animali più esotici o fantastici. Il metodo è quindi quello di prendere un classico particolarmente amato dal pubblico e riproporlo, senza eccessivi cambiamenti, in una veste nuova, moderna, computerizzata. L’idea è curiosa ed effettivamente molte persone si sono fatte attirare al cinema per scoprire come appare Bagheera nelle vesti di una vera pantera, e non sotto forma di scarabocchio ben riuscito.

Eppure, come con i sequel, vedendo i live action si ha l’impressione – forse per una questione affettiva – che i remake non possano mai essere all’altezza dell’originale. Li si guarda per curiosità, non per stima.

Nascita ed esplosione del remake in live action

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Glenn Close è Crudelia DeMon nel live action de La carica dei 101 (1996)

Il primo live action Disney risale al 1996: La carica dei 101. Questa volta la magia è vera. Pur non amato da tutti, si tratta di una pellicola apprezzabile che coglie la magia della storia e la rende reale con 101 dalmata in carne, ossa e macchie. Un effetto ben diverso dai lupi de Il libro della giungla che, pur estremamente realistici, non possono nascondere la loro natura digitale e a tratti forzatamente antropomorfa.

Il remake in live action è stato poi dimenticato per qualche anno – forse aspettando che i mezzi fossero pronti – ed è scoppiato nell’ultimo periodo destando lo stupore, e in parte le critiche, dei fanLa programmazione è infatti ricchissima: dopo Maleficent (2014) e Cenerentola (2015), abbiamo ora Il libro della Giungla (2016) e, in attesa, La Bella e la Bestia con Emma Watson, un Dumbo firmato Tim BurtonMulan La spada nella roccia curato da Bryan Cogman, autore di Game of Thrones.

Voci di corridoio parlano anche di Genies, live action prequel di Aladdin, una nuova Sirenetta metà donna e metà pesce digitale, Pinocchio, una Crudelia Demon sulla scia di Maleficent (e infatti uscirà anche Maleficent 2, oltre a Il libro della giungla 2) e Winnie The PoohMary Poppins 2 è poi la ciliegina sulla torta: può esistere Mary Poppins senza Julie Andrews e Dick Van Dyke?

Ma la domanda che sorge spontanea è: c’è davvero bisogno di tutti questi live action? Di certo è una strategia di mercato vincente: chi ha amato il primo episodio andrà di sicuro, seppur scettico, a vedere la nuova versione. Ma, come detto prima, il prodotto raramente verrà considerato alla pari della sua fonte, facendo così perdere credibilità all’azienda sovrana per quanto riguarda i cartoni animati e i film per bambini.

Crisi della narrazione fiabesca o necessità di marketing?

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Un’illustrazione d’epoca per la fiaba de La bella e la bestia

Che manchino idee o che quelle nuove non fruttino abbastanza sembra in realtà improbabile. Lavori come Inside Out (2014) e Zootropolis (2015) hanno avuto un successo non indifferente, mentre la Disney ha dimostrato con Frozen (2013) – a volte odiato, ma generalmente super acclamato – di saper ancora creare quei “classiconi” che si riguardano a distanza di anni con piacere, grazie soprattutto a una colonna sonora come poche altre.

“Se puoi sognarlo, puoi farlo“, era il motto di Walt Disney, ma sembra si stia andando incontro a una crisi della fantasia. Va ricordato comunque che la Disney in molti casi non ha creato qualcosa di nuovo partendo da zero, ma ha rielaborato fiabe, romanzi o leggende popolari edulcorandole e rendendole appetibili al grande pubblico. Le fonti di ispirazione sono quindi finite? Non sembra proprio: ci sono ancora moltissime storie dimenticate che varrebbe la pena riproporre. Il soldatino di piomboHansel e GretelMadama Holle, una versione di Cappuccetto Rosso finalmente ben fatta. Oppure, parlando di romanzi, quelli di Kenneth GrahameRobert Louis StevensonJules VerneBeatrix Potter e tanti altri.

Se molti temono che la Disney possa mettere le grinfie sui grandi classici della letteratura, reinterpretandoli a suo modo, è un dato di fatto che proprio grazie al colosso americano molti ragazzi abbiano conosciuto le fiabe o i romanzi più celebri quando non avevano la possibilità (o la voglia) di leggerli. La Disney è un potente mezzo per dare delle basi letterarie che sta poi allo spettatore curioso ampliare e scoprire. Perché non continuare su questa scia? Perché non proporre quelle storie che vale la pena tramandare – una volta lo si faceva intorno al fuoco, oggi al cinema o in TV – al posto che puntare su classici meravigliosi, ma che già conosciamo fin troppo bene?

Articolo di Dalila Forni


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