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Il ritorno di Casanova

Il ritorno di Casanova, una ribellione alla malinconia

Salvatores con la sua ultima fatica firma una dichiarazione d'amore al cinema

8 minuti di lettura

Due anni dopo l’uscita del suo ultimo film, Comedians, Gabriele Salvatores torna dietro la macchina da presa con Il ritorno di Casanova, in uscita nelle sale dal 30 marzo. Liberamente ispirato al racconto omonimo di Arthur Schnitzler, Il ritorno di Casanova è una sentita dichiarazione d’amore al cinema, considerato come unico antidoto contro l’inesorabilità del tempo.

La storia di Il ritorno di Casanova

Il ritorno di Casanova

Leo Bernardi (Toni Servillo) è un regista in crisi. Braccato dal suo produttore (Antonio Catania) e da Gianni (Natalino Balasso), suo montatore e migliore amico, Leo deve a tutti i costi concludere il suo ultimo film, intitolato appunto Il ritorno di Casanova, per presentarlo al Festival del Cinema di Venezia e, soprattutto, vincere la concorrenza di Lorenzo Marino (Marco Bonadei), regista più giovane e nuovo idolo della critica. Come il protagonista del suo film, Giacomo Casanova (Fabrizio Bentivoglio), il personaggio interpretato da Toni Servillo è ormai un uomo anziano terrorizzato dall’incedere del tempo. Ma, più della morte, è l’idea di essere detronizzato dalla freschezza delle nuove generazioni a rendere l’uomo apatico e inconcludente.

A dare una scossa alle pare dei fragilissimi personaggi maschili sono due donne: Silvia (Sara Serraiocco), una giovane e indipendente contadina di cui Leo si innamora perdutamente, e Marcolina (Bianca Panconi), una seducente dama di corte che Casanova desidera “possedere” con ogni mezzo. I nuclei narrativi e tematici che caratterizzano le vicende dei due uomini si intersecano continuamente, quasi come due rette tracciate su un disegno che si vuole – e inevitabilmente diventerà – chiaro e prevedibile: Leo e Casanova appartengono a un passato che deve tramontare; l’unica vera ribellione che possono attuare è sospinta dal capriccioso e ostinato esercizio della loro arte: il cinema per Leo, il corteggiamento per Casanova.

Il ritorno di Casanova, sedurre attraverso il cinema

Il ritorno di Casanova

In circa novanta minuti, durata non scontata per una pellicola così autoriale, è automatico avvicinare i personaggi interpretati da Servillo e Bentivoglio. Eppure, l’interessante fotografia di Italo Petriccione cerca in qualche modo di distanziarli, opponendo al magnetico bianco e nero del “presente” di Leo il colore ben più saturato dell’universo narrativo di Casanova. Lo stesso dicasi con il ragionato montaggio di Julien Panzarasa, più sferzante con le vicissitudini a volte grottesche dell’inerme regista, più lineare con le ambizioni erotiche del leggendario dongiovanni veneziano. Si badi bene: più della ben sviscerata paura del tempo che avanza, è un certo tipo di seduzione a rendere Il ritorno di Casanova non un mero esercizio di stile sin troppo manieristico e didascalico.

Sin dagli albori il cinema ha usato sé stesso, la sua industria a essere più precisi, per scandagliare a fondo l’animo umano. Le chimere, i paradossi e le sfrontatezze caratterizzanti questo specifico settore sono state spesso decisive per rivelare – o problematizzare ulteriormente – verità molto difficili da accettare nella vita reale. Psicosi, lutti, amori conclusi: da Fellini a Truffaut, dai fratelli Coen a Nanni Moretti, costruire film significa costruire determinate certezze esistenziali, con il naturale rischio nel frattempo di mescolare verità e finzione. E a volte, da questa mescolanza, scaturisce qualcosa di inedito e affascinante: un limbo dentro cui è complesso muoversi, e che rimette in discussione anche il più fondato dei principi.

Ne Il ritorno di Casanova, non c’è un vero e proprio limbo, e nemmeno uno struggente ripiegarsi su un passato dolce e indimenticato, come avviene nell’ di Fellini con la meravigliosa fuga nei ricordi dischiusa dall’ermetica formula Ana Nisi Masa. Anche se inevitabilmente influenzato dai temi e dal lirismo del capolavoro del regista riminese, Salvatores edifica in modo convincente il proprio film sulla virtù più celebre di, guarda caso, Casanova: quel fascino che qui non serve a conquistare il genere femminile, ma che, non umano ma cinematografico, ha unicamente intenzione di sedurre il pubblico moderno; una platea onnivora che divora quotidianamente immagini su immagini, metabolizzando il più delle volte poco o nulla.

Il ritorno di Casanova, il nuovo che avanza

Il ritorno di Casanova

Non che il nuovo implichi per forza un peggioramento. La sceneggiatura, scritta dallo stesso autore della trilogia della fuga con Umberto Contarello e Sara Mosetti, non risente affatto di una sorta di nonnismo, sebbene il focus sia naturalmente incentrato su Leo e Casanova, due maestri “attempati”. I giovani del film, anzi, sono forti e gaudenti, e possono meritarsi determinati successi. Silvia, interpretata da un’ipnotica Sara Serraiocco, è una giovane donna che saprà di certo crescere il bambino avuto con Leo, e Lorenzo Marino – doppione del tenente Lorenzi (Angelo Di Genio), l’energico nemico di Casanova -, è palesemente il nuovo enfant prodige del cinema italiano. Pertanto, come dovranno comportarsi le vecchie leve nel film? Dovranno rassegnarsi o concedersi un ultimo, disperato tentativo?

La pellicola non dà una risposta netta. Infatti, se Casanova non rinfodera affatto la spada, la parabola di Leo è più problematica. Quest’ultimo, interpretato da un Servillo in stato di grazia, vorrebbe competere con Marino, ma l’impossibilità di terminare il film – è lui in primis a rigettare il tentativo vitalistico del suo alter ego – lo rende molto più umano e frangibile. Pertanto, le analogie tra Leo e Casanova si assottigliano sempre di più, fino a scomparire tra le volute di una regia che, dimostrandosi fino alla fine accorta e senza sbavature, permette una calibrata distinzione tra realtà e finzione. Resta, quasi a metà strada, il cinema: l’arma ideale per contrastare la tumultuosa malinconia dell’esistenza.

Come nel film i numerosi apparati tecnologici si ribellano quando il loro “regista” si sente sopraffatto dagli eventi, anche il cinema tout court può affermarsi perentoriamente, ammaliando per bellezza espositiva e tematiche affrontate. Salvatores, di sicuro uno dei registi italiani più in sintonia con la contemporaneità, con Il ritorno di Casanova riesce quindi a strizzare l’occhio sia allo spettatore nostalgico di ieri sia allo spettatore esigente di oggi. D’altronde, il regista premio oscar per Mediterraneo ha dimostrato di saperlo bene: il tempo, per quanto imprevedibile e alla lunga ostile, porta sempre in sé il germe del cambiamento. E il cambiamento, nel cinema, è sempre stato sinonimo di feconda, imprescindibile meraviglia.


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Napoletano, classe 1996, laureato in Filologia moderna e con un master in Drammaturgia e Cinematografia. Perennemente alla ricerca di sonno, cibo e stabilità psicofisica, vivrebbe felice anche nel più scoraggiante dei film di Von Trier, ma si accontenta della vita reale insegnando nelle scuole ad amare le belle storie. Nulla gli illumina gli occhi più del buio di una sala.

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