Leo

Cosa aspettarsi dall’animazione d’intrattenimento oggi: scopriamolo con Leo

7 minuti di lettura

Un’aperta dichiarazione d’amore reciproca tra due amici, Adam Sandler e Bill Burr, inseparabili perché cresciuti insieme in una teca di vetro infrangibile, al riparo – e di nascosto – dal mondo esterno; quello che conta. È così che si apre e si chiude Leo, nuova fatica di Netflix che vede la regia a sei mani di Robert Marianetti, Robert Smigel, David Wachtenheim, e la sceneggiatura, oltre che dello stesso Smigel e Paul Sado, anche di Sandler.

Lui, che per affacciarsi al mondo della piattaforma oggi ha deciso di farlo attraverso una maschera cartoonesca in digitale. Soprattutto dopo un impegno praticamente assiduo, ma dei più scontati e telefonati, con Netflix: Hubie Halloween (2020) e il recente Hustle (2022) sono infatti i più recenti (flop) del Nostro. Tutti con la piattaforma dalla grande N.

L’ultimo in assoluto, Murder Mystery 2 (2023), è andato meglio, ma in quel caso si tratta di un sequel con Jennifer Aniston. Insomma, aspettando il nuovo progetto con i fratelli Safdie (che però è uno di quelli “vittima” degli scioperi), sembra che Adam Sandler continui sulla strada a cui è abituato percorrere per tre quarti della sua carriera: fitta produzione di film dal dubbio gusto, dove scrivere e interpretare ruoli dal talento non sfruttato diventa un vizio.

E poi c’è Leo

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Annoverato tra uno dei pochi film di animazione che Netflix fa uscire ogni anno (ignorando gli anime), in piattaforma a partire dal 21 novembre, ovvero nella settimana del Thanksgiving (furboni), Leo vede appunto le avventure quotidiane di un’iguana (Adam Sandler) cresciuta in cattività all’interno di una scuola primaria della Florida. A fargli compagnia, nelle lunghe giornate di lezioni e nei noiosi momenti in cui i bambini non sono in classe, c’è Squirtle (Bill Burr), burbera tartaruga di terra incontinente (da lì probabilmente il nome).

Entrambi sono ormai vecchi, stanchi e afflitti perché sentono di aver sprecato le loro vite. Leo in particolare decide quindi di scappare e vivere gli ultimi attimi che gli rimangono in libertà; pensa a un piano per fuggire; tuttavia, si tradisce quando inizia letteralmente a parlare con i bambini e le bambine della classe. Diventa un saggio anziano per gli alunni, che succubi di un’insegnante molto severa, hanno Leo come unico punto di riferimento educativo.

Falso allarme: come volevasi dimostrare, l’ennesima idea sprecata

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Un film sul disinteresse degli adulti nei confronti dei giovani, ignorati, lasciati da genitori ignavi e solo interessati al proprio tornaconto personale. Su questo Leo, che da Adam Sandler è stato anche prodotto, ci mette la zampina senza però andarci a fondo. Il tutto, infatti, si perde (come volevasi dimostrare) in un magma di perbenismo che inghiotte la critica, al sistema educativo americano – e quindi occidentale – e all’egoismo della società contemporanea, e la risputa sotto forma di comedy nonsense al limite del paradosso.

C’è veramente poco da fare, Leo è l’ennesima idea originale sprecata al netto di una rappresentazione timida e forzatamente parodistica della nostra realtà. E le scuse sono sempre le stesse: è un film per bambini, l’importante è prenderla alla leggera, non tutto deve essere critica a un sistema e bla bla bla.

Guarda caso questo pensiero invoca una qualsivoglia protezione nei confronti dei più piccoli, principali fruitori dei film d’animazione, ma – come in fondo si dimentica troppo spesso – non i soli. Una grave abitudine, alimentata dalla paura delle produzioni di non essere troppo inclusivi o accondiscendenti con il pubblico, e che di conseguenza la usano come giustificazione per il loro disimpegno.

Leo, debole e dimenticabile

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Tuttavia, come Leo è l’ennesima dimostrazione di quanto questa tendenza sia nociva al cinema d’intrattenimento, Il gatto con gli stivali 2 è la riprova contrapposta che per fare un film per ragazzi (e quindi per tutti, adulti compresi) non serve il moralismo, né l’eccessivo buonismo.

Leo ha purtroppo dalla sua una produzione sicuramente pilotata, indirizzata a obiettivi precisi: l’inclusione (in quel caso sì, di tutti) anche dei villain e del male – un modo facile e ignavo per giustificare il comportamento di chiunque – come la poliedricità nel rappresentare ogni difetto dei bambini, dando a mo’ di soluzione semplici e banali consigli che si riassumono in una massima sostanziale: “Non sei tu, è qualcosa più grande di te”.

Da una parte, quindi, l’asetticità di una sceneggiatura traballante e con poco ritmo, rendono Leo un film spento, dai toni abbassati; dall’altra, tuttalpiù, la scarsa identità con cui gli autori hanno fatto proprio il film, dona uno spettacolo delirante e leggiadro.

Come una piuma, che passa in fretta e senza troppi macigni che pesano sugli occhi dello spettatore? No. Leggero, perché sterile di idee e capace di prendere il volo. Come una foglia autunnale caduta sul manto di una strada poco trafficata, Leo rimane a fine visione per qualche secondo lucido e presente nella mente di chi guarda; dopodiché un alito di vento spazza via la strada. Si è come inermi: due animali in gabbia, per sempre, in una teca di vetro.


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Studente alla Statale di Milano ma cresciuto e formato a Lecco. Il suo luogo preferito è il Monte Resegone anche se non ci è mai andato. Ama i luoghi freddi e odia quelli caldi, ama però le persone calde e odia quelle fredde. Ripete almeno due volte al giorno "questo *inserire film* è la morte del cinema". Studia comunicazione ma in fondo sa che era meglio ingegneria.

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