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Made for love serie tv

Made for Love, distopia di un rapporto amoroso

Una serie come tante ma con qualcosa in più da dire

14 minuti di lettura

Sempre più spesso nella serialità televisiva e nel cinema, i generi tendono a mescolarsi, confondersi, camuffarsi, nascono così sottogeneri, generi ibridi e nuovi generi.

Made for love, ultima Serie TV prodotta da HBO e disponibile su Sky e NowTv dal 13 dicembre, può essere definita in diversi modi: è una dramedy, un prodotto che presenta sia componenti serie che comiche, è una serie distopica, figlia o nipote di Black Mirror, che mostra un presente alternativo ma possibile o un futuro molto vicino in cui la tecnologia predomina in ogni ambito, è una storia che vuole stimolare una riflessione su tematiche di genere e di detenzione del potere nei rapporti di coppia.

Adattamento dell’omonimo romanzo di Alissa Nutting, che figura tra gli ideatori della serie, sceneggiata da Patrick Somerville, che aveva già preso parte alla scrittura di The leftlovers e alla creazione della serie Netflix Maniac, Made For Love è stata rilasciata per intero prestandosi facilmente a essere vista in modalità binge watching.

Made For Love, l’introduzione

Protagonista della serie è Cristin Milioti, attrice arrivata al grande pubblico per aver interpretato la mamma di How I Met Your Mother e per aver preso parte al film del 2020 Palm Springs.

Nella Serie TV interpreta Hazel una donna sposata con uno degli uomini più ricchi e potenti del pianeta, il magnate della tecnologia Byron Gogol, una via di mezzo tra Elon Musk e Jeff Bezos. I due vivono reclusi da dieci anni nell’Hub, una casa che è anche ufficio, studio, laboratorio inventata e costruita da Byron, un posto ultratecnologico che ricrea in realtà virtuale qualsiasi cosa o luogo per soddisfare i desideri della coppia.

Hazel ha tutto, non le manca nulla e può permettersi di non lavorare o preoccuparsi delle noiose banali incombenze quotidiane, sembra una vita perfetta, ma è solo apparenza, dietro si nasconde un’esistenza fatta di privazioni, di libertà negate, di obblighi imposti. Hazel, infatti, non può uscire dall’Hub, non può lavorare, ha orari imposti, non può avere un cellulare, non può vedere nessuno.

Byron, abile manager e geniale inventore, è in realtà un patologico narcisista, misantropo, ansiogeno, che esercita le sue manie di controllo principalmente sulla moglie, ma anche suoi suoi collaboratori e dipendenti e che ha deciso di barricarsi all’interno della sua prigione tecnologica super confortevole perché incapace di vivere nel mondo reale.

Nessuno sembra essersi mai accorto della situazione problematica in cui vive fino al giorno in cui Byron annuncia il suo ultimo prodotto: un microchip da impiantare nel cervello del partner e abolire così ogni distanza tra due persone, potendo conoscere i pensieri, gli umori, i dati emotivi dell’altro, il nome è, appunto, Made for love, fatto per amare.

Questo microchip per Byron dovrebbe essere la soluzione a tutte le incomprensioni e i problemi di coppia e consentirà di vivere il rapporto perfetto, la fusione amorosa. Ma Hazel non la pensa così e dopo aver scoperto che il marito le ha impiantato il microchip di nascosto decide di fuggire da lui e dalla sua prigione.

Il discorso sulla tecnologia

La prima cosa che si nota durante la visione di Made for love è la riflessione sulla tecnologia, su quanto velocemente avanzi, sul limite fino a cui è consentito o lecito spingersi, su cosa sia giusto o sbagliato e su chi sia deputato a decidere.

Da un lato abbiamo un self made man che è arrivato a essere in pochissimo tempo uno degli uomini più ricchi del mondo creando e vendendo giocattoli tecnologici che semplificano, cambiano e modellano la vita delle persone, dall’altro ci sono gli utenti che sono affascinati dalla vita idealizzata e sfavillante del miliardario, migliaia di persone qualunque, come noi, che non sono più in grado di vivere senza le facilitazioni date dalla tecnologia, a partire dagli smartphone fino alla domotica.

La tecnologia ha sicuramente migliorato molte cose nella vita di ognuno, ha tolto impicci quotidiani, ha reso le comunicazioni più facili e immediate, ha fornito l’accesso al sapere a chi ne era escluso, offre piattaforme per esprimersi prima inesistenti, ma non potrà mai sostituire determinate esperienze: andare a un concerto o stare sdraiati in riva al mare coi piedi nella sabbia, per esempio.

Quindi, qual è il limite fino a cui spingersi? Alla scoperta dell’impianto del microchip Hazel perde la fiducia (forse già un po’ vacillante) nei confronti del marito e del suo lavoro, e arriva alla presa di coscienza personale di come una vita continuamente sotto osservazione di schermi e computer sia sterile e distorta.

Byron Gogol si presenta come la mente dietro a questa egemonia tecnologica, ma anche come il miglior adepto di questo nuovo modo di stare al mondo. La sua vita è interamente governata dai nuovi ritrovati tecnologici, dorme due ore per notte con un casco che gliene fa percepire otto, mangia sfere aromatizzate sostitutive di un pranzo, tutto per massimizzare il tempo.

In una società che ci vuole sempre più efficienti e a causa di lavori che richiedono la nostra disponibilità costante, ci ritroviamo noi stessi a dire sempre più spesso che il tempo non basta mai, ma la prospettiva proposta da Made for love appare alienante: Byron è un uomo incapace di stare nella società, di vivere esperienze reali e intrecciare relazioni, è completamente slegato da tutto, focalizzato unicamente sulla propria efficienza e sugli obbiettivi lavorativi.

Una domanda sorge spontanea: è questo il futuro che ci aspetta? Probabile. Siamo pronti? Probabilmente no. E fino a che limite noi saremo disposti a spingerci per ottimizzare e migliorare la nostra vita?

Il discorso sul potere

La tecnologia è sicuramente centrale in Made for love, ma la tematica protagonista è senza ombra di dubbio il potere, chi lo possiede e lo esercita e chi lo subisce. La relazione tra Hazel e Byron è metafora chiara ed evidente del privilegio maschile in un mondo capitalista in cui le possibilità sono tutte nelle mani di uomini come Byron, miliardari etero, con una forma fisica pazzesca che possiedono i più grandi ritrovati tecnologici.

I sottomessi? Sono tutte le Hazel del mondo, persone senza possibilità economiche, donne o persone LGTBTQ+, che partono svantaggiate e che devono faticare il doppio per ottenere una minima parte del successo di uomini come Byron. Hazel ha sposato Byron perché per lei era l’unica possibilità di sicurezza economica, per scappare dal paese di provincia e lasciarsi alle spalle i problemi e un padre alcolizzato.

La sua strada verso l’indipendenza comincia nel momento in cui rifiuta l’agiatezza e la sicurezza che Byron le ha offerto in cambio della sua libertà, questo percorso la porterà all’accettazione di una situazione di partenza sgradevole e alla serenità derivata dall’indipendenza economica, anche se questa è ottenuta grazie a un lavoro che è considerato degradante.

Byron ha sempre controllato ogni aspetto della vita di Hazel e il livello più alto è raggiunto col microchip che non solo fornisce i dati emotivi della partner, ma permette perfino di localizzarla, vedere ciò che lei vede, sentire ciò che lei sente. È la fine del privato, è la vittoria del dominio totale sull’altro.

A Byron, agli uomini come lui, non interessa intrecciare relazioni reali, interessa soltanto esercitare al meglio e sempre più il loro potere sia perché, in fondo, non sono veramente capaci di intrattenere dei rapporti, sia perché anche loro stessi devono rispondere a un modello di mascolinità imposta.

Il discorso sull’abuso

Il rapporto di coppia tra Hazel e Byron è un rapporto tossico e abusante in cui la tecnologia è usata come metafora per i comportamenti prevaricanti dell’uomo sulla donna.

Byron è un narcisista con manie di controllo il cui ego è continuamente rafforzato ogni giorno dal proprio conto in banca, dal prestigio sociale e dal dominio che esercita su collaboratori succubi e sulla moglie inerme. Hazel, al contrario, è una donna che è riuscita a fuggire da una situazione di povertà e indigenza grazie al matrimonio con Byron, non ha un lavoro, non ha potere, non possiede nulla, ma ha tutto da perdere.

Byron sostiene di essere innamorato follemente di Hazel, ma ciò che ha fatto scattare l’interesse nei confronti della donna, e lo apprendiamo per sua confessione, è che era una facile conquista, una vittoria sicura, l’ennesimo successo. Non può che nascere un rapporto tossico e impari da una premessa del genere e infatti Byron approfitta del potere che può esercitare su una persona più debole, insicura e meno abbiente di lui per sentirsi lui stesso più forte, potente e di successo.

L’abuso che Hazel subisce è di difficile comprensione per le persone a cui la donna si rivolge, il padre e l’avvocato finto cowboy (e non è un caso che siano tutti uomini), perché la sua prigione appare come un sogno irraggiungibile, chi non vorrebbe dormire otto ore per notte? Chi non vorrebbe vivere nella casa più tecnologica al mondo o essere sposata con l’uomo più ricco?

Gli uomini a cui Hazel si rivolge non la capiscono perché non capiscono la privazione della libertà personale e di scelta, scherniscono le sue lamentele considerandole sterili e l’accusano attribuendogli la colpa di ritrovarsi in questa situazione, per aver sposato un estraneo il giorno stesso che l’ha conosciuto, di “essersela cercata”, insomma. La serie riesce molto bene a mettere davanti agli occhi di tutti uno dei perni centrali del patriarcato: scaricare le colpe degli uomini su qualcun altro, dare la colpa alle donne (o qualsiasi soggetto abusato) per gli abusi ricevuti dagli uomini (o di qualsiasi soggetto abusante). Non ci può mai essere giustificazione per un abuso.

Made for love non è una serie perfetta, non è nemmeno una serie di importanza decisiva, ma tra una risata e l’altra, tra scene più riuscite di altre, ha il merito di voler toccare temi importanti e oggi primari e lo fa costruendo una una storia a metà tra l’assurdo e il possibile, in cui nei momenti più riusciti la risata che scappa ha sempre un sapore amaro per la terrificante sensazione di familiarità che questi temi suscitano.


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Chiara Cazzaniga, amante dell'arte in ogni sua forma, cinema, libri, musica, fotografia e di tutto ciò che racconta qualcosa e regala emozioni.
È in perenne conflitto con la provincia in cui vive, nel frattempo sogna il rumore della città e ferma immagini accompagnandole a parole confuse.
Ha difficoltà a parlare chiaramente di sé e nelle foto non sorride mai.

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