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Immagine tratta dal film Napoli - New York. Carmine (Antonio Guerra) e Celestina (Dea Lanzaro) si abbracciano.

Napoli – New York. Here’s To You, Nicola and Bart

11 minuti di lettura

Gli italiani sono ovunque: in Argentina, in Scandinavia, in Australia e ovviamente in Nord America. Questa condizione di eterni viaggiatori, legata in maniera così indissolubile al popolo italiano – basti pensare ai nostri Marco Polo e Cristoforo Colombo – ha sparpagliato famiglie in lungo e in largo e ha dotato quasi ogni italiano, oggi, di un lontano parente sperduto da qualche parte nel mondo. Eppure, non proprio tutti hanno legami al di fuori dello Stivale; come dice Celestina, protagonista dell’ultimo film di Gabriele Salvatores, Napoli – New York (uscito il 21 novembre 2024): “Non esistono stranieri. Esistono solo poveri. Chi è ricco non è mai straniero.“.

Chi oggi non ha storie da raccontare su nonni e zii partiti per “La Merica“, lo deve probabilmente al fatto che quei nonni e quegli zii, fra la fine del Diciannovesimo secolo e i primi cinquant’anni del Ventesimo, non stessero morendo di fame. Buon per loro. Ma vi è certamente un importante fattore di classe da considerare nel parlare dell’esodo italiano all’estero. Napoli – New York non si tira certo indietro dall’affrontare il discorso, anche tramite quest’ottica.

Le Napoli – New York di Amerigo Fellucci

Immagine del dietro le quinte di Napoli - New York: da sinistra, Celestina (Dea Lanzaro), Carmine (Antonio Guerra), Domenico (Pierfrancesco Favino) e il regista Gabriele Salvatores.

Nel capolavoro di Douglas Sirk, Lo Specchio della Vita (1959), l’attrice protagonista viene invitata a partecipare ad una prestigiosa produzione europea, sotto la direzione del rinomato regista italiano Amerigo Fellucci, un sentito e scherzoso omaggio al nostrano Federico Fellini. Napoli – New York sembrerebbe quasi essere stato diretto proprio da questo fantomatico Fellucci: il lavoro di un imitatore senza malizia, che porta genuino rispetto per l’inventiva dell’originale.

Va infatti specificato che il soggetto (ben 58 pagine) di Napoli – New York fu scritto da Fellini e Tullio Pinelli, lo storico sceneggiatore con cui collaborò per La Dolce Vita (1960). La storia non fu mai effettivamente adattata per lo schermo, ma porta ancora su di sé, pure in questa sua apocrifa incarnazione, i segni del passaggio di due grandi autori. Questo lavoro incompiuto è stato proposto a Salvatores da chi ne deteneva i diritti per trasformarlo finalmente in film. Il risultato è, appunto, un’imitazione riuscita in parte, ma particolarmente piena di cuore, sicuramente degna di molto più amore di quello che il botteghino gli sta dimostrando dalla data di uscita.

Protagonisti sono Celestina (Dea Lanzaro) e Carmine (Antonio Guerra), due bambini napoletani che hanno vissuto l’orrore e la fame della seconda guerra mondiale. Sulla scia dei pesanti bombardamenti che hanno distrutto Napoli e della conseguente povertà, i due decidono di imbarcarsi illegalmente per l’America, in cerca di nuove speranze e della sorella di Celestina, che già vive negli States. Va subito specificato che i punti scritti da Fellini e Pinelli sono nettamente distinguibili da quelli inventati di sana pianta da Salvatores: la parte certamente più solida è quella del soggetto originale, la prima metà di film, nella quale il tocco felliniano è più che rintracciabile.

Va ugualmente sottolineato che la seconda parte di Napoli – New York, per quanto claudicante nei ritmi e nelle idee visive, non sfigura accanto alla prima, se non altro perché il film era anche originariamente imperniato su temi molti cari a Salvatores e alla sua produzione precedente. Il viaggio come occasione di rivalsa si ritrova nella Trilogia della Fuga e le difficoltà dell’infanzia in film come Non ho Paura (2003) e Il Ragazzo Invisibile (2014) tornano qui in gran rispolvero. Ma, se Salvatores si trova a suo agio con i contenuti, non era altrettanto scontato che sapesse rendere giustizia alle vere e proprie immagini di Fellini.

Proprio in questo, Napoli – New York sorprende: un grande autore come Salvatores fa un passo indietro per rispettare la visione di una grandissimo, mettendo in secondo piano la propria estetica – in particolar modo musicale – per favorire una efficace resa della frenesia felliniana.

Immagine tratta dal film Napoli - New York. In un bar, uno di fronte all'altro, Carmine (Antonio Guerra) e Domenico (Pierfrancesco Favino).

Già solo l’inquadratura d’apertura, accompagnata da un boato di bomba, con uno scheletrico uomo in primo piano che urla alla camera, rimanda alle periferie romane de La Dolce Vita (1960). I bassifondi napoletani sembrano usciti da quelli di Fellini Satyricon (1969); la nave Victory pare quella che tutta Rimini vuole salutare in Amarcord (1973) – o quella protagonista di E la Nave va (1983) – e la sfavillante e falsa America di Napoli – New York rimanda agli stordenti siparietti televisivi di Ginger e Fred (1986).

Insomma, se è vero che Salvatores, nella seconda parte, ritorna ad una regia meno immaginifica – e a una colonna sonora che nulla ha a che fare coi silenzi e la incolmabile assenza di Nino Rota della prima metà -, è anche vero che dimostra di saper riconoscere la grandiosità altrui e di riuscire a prestare fede ad uno stile che non è il suo.

Inoltre, Napoli – New York sembra un’estensione della riflessione meta-cinematografica de Il Ritorno di Casanova (2022), precedente film di Salvatores, e vero e proprio omaggio al capolavoro 8 e mezzo (1963). In quel film, un regista riconosce i propri limiti, e, invece di indugiare nel dirigere un progetto vuoto e autoreferenziale, accetta la vita e la sua importanza rispetto al cinema stesso. Se nel 2022 fu il Toni Servillo, protagonista del film, a fare un passo indietro, oggi è Salvatores stesso a omaggiare nuovamente Fellini, rendendosi anonimo in sua “presenza”.

Napoli – New York, “colore della pelle: Italian Brown”

Immagine tratta da Napoli - New York. Gruppo di persone per strada.

Stilisticamente, la mano di Fellini e Pinelli è facilmente rintracciabile, ma contenutisticamente lo è ancora di più. Basti sapere come Fellini parlava nelle interviste dell’America, definita “circense e fantascientifica.” Altrettanto critico è il ruolo degli Stati Uniti nei confronti dell’Italia stessa, sia durante il conflitto mondiale che nei decenni successivi.

Fellini partecipò alla sceneggiatura di Paisà (1946), capolavoro di Roberto Rossellini e prima vera propaganda filo-statunitense prodotta in Italia: non è un caso che la pellicola fu recepita con grande scalpore anche in America. In Napoli – New York, il film viene omaggiato sia direttamente che indirettamente, ma rimane esempio principe del legame – nel bene e nel male – che lega America e Italia. Vale però la pena ricordare che diversi film sono stati prodotti in merito a quanto fuorviante fosse l’idea del sogno americano e del trattamento riservato a chi emigrava dall’Italia verso Ellis Island, il punto di sbarco e smistaggio per tutti i transatlantici diretti a New York.

Nuovomondo (2006) di Gabriele Crialese è un titolo virtuoso sulle condizioni di viaggio e accoglienza disumane alle quali gli emigrati italiani erano sottoposti; il celeberrimo Sacco e Vanzetti (1971), del grande Giuliano Montaldo, che narra le reali vicende giudiziarie di due immigrati italiani, accusati e giustiziati dal sistema penale americano solo per via delle loro idee politiche. Anche Napoli – New York dedica ampio spazio al tenore di vita che gli italiani erano costretti a sopportare in America, spesso evidenziando similitudini con la condizione della popolazione afroamericana.

Immagine del dietro le quinte di Napoli - New York. Gabriele Salvatores, il regista, con Dea Lanzaro e Antonio Guerra.

Perché il punto di Napoli – New York è proprio questo: noi eravamo “neri” e lo siamo stati fino a pochi decenni fa, nel tessuto sociale americano. Per essere precisi, eravamo “italian brown,” come scritto sui passaporti di chi riusciva a entrare da Ellis Island. La condizione degli odierni italoamericani è la prova lampante di quanto il concetto di “neritudine” – per citare Franz Fanon – sia prettamente sociale, costruito su pregiudizi culturali e soprattutto classisti. Come scritto nei primi paragrafi, non esistono stranieri ricchi, e l’attualmente benestante popolazione italoamericana ne è la conferma.

Negli anni Sessanta, ci linciavano ai raduni del KKK o ci vietavano l’accesso a bar e ristoranti, ma in seguito al generale arricchimento della popolazione italiana – a voler esser onesti, dovuta anche alla capillarità con cui organizzazioni di tipo mafioso hanno preso piede in America – la sua condizione sociale è radicalmente migliorata.

Per cui, la vera forza di Napoli – New York non sta tanto nell’aver fugacemente resuscitato Fellini, ma nel riuscire a farci riflettere su cosa noi stessi siamo diventati. Quando Carmine e Celestina attraccano davanti alla Statua della Libertà, vedono sfilare un corteo di immigrati sotto gli sguardi impietositi ma indifferenti dei passeggeri americani di prima classe: questa sequenza fa arrabbiare, tira tutte le giuste corde per creare sdegno e vergogna. Ma l’umiliazione più grande non è aver sfilato vestiti di stracci davanti agli Americani: è essere diventati proprio come loro.

Here’s to you, Nicola and Bart
Rest forever here in our hearts
The last and final moment is yours
That agony is your triumph


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Appassionato e studioso di cinema fin dalla tenera età, combatto ogni giorno cercando di fare divulgazione cinematografica scrivendo, postando e parlando di film ad ogni occasione. Andare al cinema è un'esperienza religiosa: non solo perché credere che suoni e colori in rapida successione possano cambiare il mondo è un atto di pura fede, ma anche perché di fronte ai film siamo tutti uguali. Nel buio di una stanza di proiezione siamo solo silhouette che ridono e piangono all'unisono. E credo che questo sia bellissimo.

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