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Un'immagine di No Other Land, film di Basel Adra, Hamdan Ballal, Yuval Abraham & Rachel Szor: i due protagonisti si guardano, mentre. sullo sfondo si staglia il paesaggio brullo di Masafer Yatta

No Other Land, immagini di distruzione e di resistenza

14 minuti di lettura

No Other Land è forse tra i film più discussi, controversi e apprezzati tra quelli prodotti e usciti nel 2024. Presentato alla Berlinale 2024, il film ha vinto il Premio per il Miglior Documentario dell’edizione: in seguito a questo premio, son sorte non poche polemiche in merito al discorso di accettazione di due dei registi al festival, considerato da alcune cariche pubbliche tedesche ‘antisemita‘. Al netto delle polemiche – intrinsecamente legate anche all’attualità della guerra sulla striscia di Gaza, che in Occidente si presenta ancora come un argomento controverso e divisivo -, No Other Land riesce a superare i confini berlinesi, diventando una delle pellicole più premiate nei festival di tutto il mondo.

Al momento della stesura di questa recensione, infatti, No Other Land ha vinto, tra le altre cose, agli European Film Awards 2024 il premio per il Miglior Documentario ed è stato nominato come Miglior Documentario agli Oscar 2025.

Distribuito in Italia da Wanted Cinema con il contributo di Amnesty International, No Other Land si presenta come una visione necessaria tra le uscite al cinema di questi mesi, non solo per la realtà di politica globale che affronta o per i premi che ha ottenuto e può ancora ottenere, ma perché ci racconta con grande onestà e schiettezza il tempo in cui viviamo e il ruolo che le immagini giocano in queste complicate questioni umanitarie.

Basel Adra e il racconto della distruzione di Masafer Yatta

No Other Land segue per circa quattro anni – dalla primavera del 2019 all’ottobre 2023la vita e l’attivismo di Basel Adra, un giovane avvocato della Cisgiordania che, sin dall’infanzia, assiste alla politica sistemica di smantellamento di villaggi palestinesi all’interno dell’area di Masafer Yatta, dichiarata dal governo israeliano come una “zona militare” con il solo e mirato obiettivo di cacciare e allontanare le famiglie di origine palestinesi dall’area. La vita del giovane è dunque fatta del suo lavoro presso la pompa di benzina della città, della sua attività di attivista palestinese e del suo interesse nel riprendere con la sua telecamera tutti gli atti di distruzione che l’esercito israeliano compie a Masafer Yatta.

Accanto a lui vi è Yuval Abraham, un giornalista israeliano che sposa la causa palestinese e aiuta Basel a filmare e raccontare ciò che la sua terra sta subendo. Da questa collaborazione nasce un’inattesa e profonda amicizia tra persone di due popolazioni di “fazioni” opposte. La cosa sembra destare sospetto – non sono poche le persone palestinesi che si scontrano con Yuval, trovando inconcepibile il suo sincero voler aiutare persone in difficoltà -, ma ciò non ferma i due nella loro missione di esposizione delle crudeltà del governo israeliano contro i villaggi della Cisgiordania.

Un'immagine promozionale di No Other Land, documentario di Basel Adra, Hamdan Ballal, Yuval Abraham & Rachel Szor; Basel Adra, il protagonista del documentario, è sdraiato per terra, mentre sullo sfondo si vede una ruspa in azione

Da questa amicizia nascerà anche No Other Land stesso – i due, infatti, figurano nei crediti di regia, sceneggiatura, montaggio e produzione assieme ad Hamdan Ballal e Rachel Szor, l’uno palestinese l’altra israeliana -, un vero e proprio atto di denuncia e di esposizione della condizione di vita delle persone palestinesi. All’interno del documentario, infatti, è possibile vedere non poche scene di vita all’interno dei villaggi di Masafar Yatta, fatta di ordinaria quotidianità in mezzo alla distruzione, quest’ultima oramai diventata una parte della vita quotidiana di queste persone.

Ma in No Other Land non c’è solo disperazione o tragedia: scene di festa, di piccole gioie quotidiane o anche solo di normalità son presenti e accostate ai momenti più tragici come la distruzione di una scuola o il ferimento di una persona con arma da fuoco, che costringerà la vittima a esser paralizzato dalle spalle in giù. Questi momenti, queste situazioni non si escludono a vicenda tramite il loro accostamento, semmai finiscono per coesistere, fornendo dunque un ritratto più complesso e sfaccettato della vita in Cisgiordania, rispetto a quanto i media tradizionali non abbiano raccontato in questi mesi.

È proprio in antitesi a questi ultimi che si inserisce No Other Land, nel raccontare la tragedia della Cisgiordania direttamente dal suo interno, a livello sia geografico sia di sguardo. La prospettiva del collettivo alla regia sottolinea proprio un modo di approcciarsi alle conflittualità tra Israele e la Striscia di Gaza – ancor prima dello scoppio della guerra il 7 ottobre 2023 – in maniera organica e diretta. Sicuramente non imparziale, vista la netta posizione presa da No Other Land rispetto al trattamento del popolo palestinese, l’opera si dimostra comunque capace di seguire e raccontare in modo partecipato e accorato il lento annientamento sistemico di un intero popolo, cercando di restituire la dignità dell’identità palestinese nel contempo.

No Other Land: immagini di resistenza e d’identità

Un'immagine di No Other Land, film di Basel Adra, Hamdan Ballal, Yuval Abraham & Rachel Szor: un bambino con una tuta rossa gioca sullo sfondo di un paesaggio di distruzione in Palestina

La visione di No Other Land impone necessariamente, per noi spettatori occidentali, una lunga serie di questioni – soprattutto in merito a come i nostri media abbiano approcciato e raccontato gli avventimenti della striscia di Gaza. Opere come questa si presentano, infatti, come alternative mediatiche alle narrazioni dominanti, in grado di ricentrare e ricalibrare il discorso attraverso una prospettiva meno europea e più locale. In un certo senso, è possibile parlare di un vero e proprio approccio post-coloniale all’immagine in relazione al film in esame – non a caso, spesso le persone palestinesi si riferiscono a quelle israeliane come “coloni”, proprio in virtù del loro tentativo di estradizione del popolo palestinese dalla propria terra di origine.

Tra le altre questioni poste da No Other Land, emerge senza dubbio un’importante riflessione sull’immagine nella nostra contemporaneità. L’immagine cinematografica, quando non l’immagine in movimento in generale, può avere numerose valenze1 : essa può avere una valenza di finestra sul mondo diegetico e finzionale al centro della narrazione – questo è vero per film come Emilia Pérez di Jacques Audiard come per Nosferatu di Robert Eggers e Diamanti di Ferzan Ozpetek -, ma può anche avere valenza di registrazione e riproduzione della realtà (come può essere per il cinema documentario, si vedano ad esempio i film inseriti nella lista dei migliori documentari del 2024).

Il panorama mediale contemporaneo, fatto di infinite forme di audiovisivo che passano per centinaia di medium e in forme costantemente diverse, complica in maniera esponenziale questo landscape. In un mondo come il nostro che vive e consuma continuamente immagini di varia natura, il senso che queste immagini può avere è profondamente variegato, sia nei mezzi sia negli scopi e nelle valenze – il nostro panorama mediale passa senza soluzione di continuità dai video tutorial di make up su YouTube all’ultimo trand di TikTok fino alle immagini che imperterrite scorrono ancora ogni giorno a ogni ora in televisione.

Un'immagine di No Other Land, film di Basel Adra, Hamdan Ballal, Yuval Abraham & Rachel Szor: un carro armato si staglia in Silhouette con due soldati israeliani accanto ad esso

In questo complesso scenario, le immagini di No Other Land si stagliano in maniera solida e sicura. Ciò che si vede nel film, infatti, assume due valenze profondamente intrinseche al tessuto estetico del film: da un lato, queste immagini servono anzitutto a testimoniare quanto sta avvenendo in Cisgiordania, hanno un valore dunque strettamente documentale. Non a caso, le immagini che Basel cattura con la sua videocamera – dalla distruzione di palazzi alle rivolte e proteste organizzate ogni settimana dagli abitanti palestinesi – vengono prontamente caricate sui social e ricondivise da Yuval all’interno dei suoi articoli, a testimonianza della realtà della Cisgiordania.

Dall’altro lato, tuttavia, le immagini catturate da Basel hanno un secondo valore, più profondo e meno immediato: servono ad affermare l’identità palestinese come legittima ed esistente. Questo valore identitario non è sicuramente nuovo o inedito al cinema, anzi: esso è alla base di sottoculture cinematografiche, come il cinema queer (esempi di ciò che intendo possono essere Non è l’omosessuale ad essere perverso, ma la situazione in cui vive di Rosa von Praunheim o a Female Trouble di John Waters), il cinema femminista (si veda, ad esempio, la filmografia di Chantal Akerman o quella di Agnés Varda) e il cinema post-coloniale (un esempio potrebbe essere La Noire de… di Ousmane Sembène, recuperabile gratuitamente su RaiPlay, o Dahomey di Mati Diop).

Alla base di questi movimenti, così come alla base di No Other Land, vi è la necessità di usare le immagini per rappresentare la propria identità legittima in un mondo ad essa ostile: il cinema, ma oggi si potrebbe fare un discorso analogo per la televisione e i social media, diventano un vero e proprio strumento per le comunità marginalizzate di autoaffermazione e autorappresentazione, una pratica necessaria nel momento stesso in cui la natura di queste comunità, la loro autenticità e la loro stessa esistenza vengono messe in pericolo e minacciate, oltre che non riconosciute.

Fotografia del 2006 scattata da JR: Ladj Ly, regista e sceneggiatore francese, tiene in mano una videocamera come se fosse un'arma da fuoco
28 Millimeters, Portrait of a Generation, Hold-up, Ladj Ly by JR, Les Bosquets, Montfermeil, 2004

È per questo che No Other Land mostra Basel – ma anche suo padre prima di lui – impugnare sin dall’età di 15 anni la videocamera per raccontare ciò che accade nella sua terra: per testimoniare non solo la tragedia che la sua comunità esiste, ma per sottolineare che questa comunità esiste ancora.

Proprio per questo, all’interno di No Other Land la questione politica legata alle immagini è profondamente centrale. Da un lato, infatti, il film non manca mai di ricordare quanto potere queste immagini abbiano – un’iconografia ricorrente nella pellicola vede l’impugnare videocamere come se fossero armi (un po’ come nel celeberrimo ritratto di Ladj Ly realizzato da JR nel 2004) sia da parte dei palestinesi, sia letteralmente dalla parte dell’esercito israeliano.

Dall’altro, l’uso che viene fatto di queste immagini in No Other Land viene problematizzato: una scena chiave dell’opera, infatti, vede una discussione tra Basel e Yuval dopo che quest’ultimo si lamenta delle poche interazioni che i suoi ultimi post e articoli hanno ricevuto. Basel non nasconde il suo disprezzo verso discorsi di questa natura: quella è la sua vita, e non può essere strumentalizzata attraverso immagini e post per clout sui social. La posta in gioco e le questioni in ballo sono fin torppo alte.

No Other Land, in definitiva, si pone come una visione necessaria e importante nel panorama cinematografico degli ultimi mesi, non solo per la sua valenza di documento storico – cosa che, già da sola, basterebbe ad attirare quanto meno l’interesse dell’opinione pubblica -, ma anche e soprattutto perché ci ricorda quanto sia fondamentale in certi casi e vitale per certe comunità il ricorso all’immagine in movimento, capace ancora oggi di generare controversie, di aprire dibattiti e di far vedere al mondo che vi sono categorie di persone dall’altra parte del mondo che lavorano, vivono, soffrono.


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  1. È attorno a questioni di questa natura che l’estetica del film lavora. Per approfondire l’argomento e le diverse teorie legate all’estetica filmica, si consiglia la lettura di “Teoria del film. Un’introduzione” di Thomas Elsaesser e Malte Hagener, edito Einaudi; per approfondire, più nello specifico, l’estetica del cinema documentario, si consiglia “Teorie del film documentario” di Oliver Fahle, edito Einaudi. ↩︎

Classe 2001, cinefilo a tempo pieno. Se si aprissero le persone, ci troveremmo dei paesaggi; se si aprisse lui, ci troveremmo un cinema. Ogni febbraio vorrebbe trasferirsi a Berlino, ogni maggio a Cannes, ogni settembre a Venezia; il resto dell'anno lo passa tra un film di Akerman, uno di Campion e uno di Wiseman.

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