fbpx
Quando

Quando, 30 anni di cinema inoffensivo

Un film rimasto chiuso in un passato che non si affaccia mai verso il presente

7 minuti di lettura

Il “cinema politico” italiano è stato, negli ultimi trent’anni, un riflesso dei governi che lo avrebbero dovuto ispirare: un circo di inadeguatezze e occasioni mancate. Quando di Walter Veltroni, in sala dal 30 marzo 2023, è solo l’ultimo sintomo di questa malattia chiamata “passatismo“.

Il film racconta di Giovanni (Neri Marcorè), convinto diciottenne di fede comunista, che durante i funerali di Enrico Berlinguer viene colpito dall’asta di una bandiera, finendo in coma per più di trent’anni. Al suo risveglio sarà suor Giulia (Valeria Solarino) a dover accompagnare lo spaesato “ragazzo” alla riscoperta di un mondo stravolto da cambiamenti geopolitici e tecnologici.

Ora, sia ben chiaro che il prodotto in sé, nonostante mastichi e respiri politica, non aspira minimamente a essere cinema inquisitorio alla Francesco Rosi ed Elio Petri: Veltroni è chiaramente intenzionato a dirigere una commedia che faccia prima di tutto ridere, che racconti in modo sentito il tempo che fu e che commuova chi di quel tempo porta i segni sulla pelle. E qui si riscontrano i primi problemi, quelli principali.

Vietato ridere ai minori di 60 anni

Quando

Quando semplicemente non fa ridere. Mai, neanche una volta. I tempi comici sembrano rispecchiare in pieno l’energia di un uomo appena risvegliatosi da 30 anni di coma, con voce rauca e scadenzata a causa dell’inattività delle corde vocali, alla quale fanno da contorno i muscoli atrofizzati di un Marcorè che pare disinteressato, quasi assente e dei suoi comprimari totalmente sottotono. Per finire il riassunto anatomico di questo film assonnato, l’ossatura che dovrebbe sorreggerlo di scena in scena sembra essere indebolita da una sceneggiatura al limite dell’accettabile: le battute sembrano quasi una necessità sgradita al regista, un ripensamento del produttore riguardo il tono generale del film.

Film che sembra sul punto di tracollare da un momento all’altro, non aiutato da un comparto tecnico inadatto tanto quanto quello creativo: con una fotografia bruciata e un set design degno dei migliori cataloghi Ikea, Quando non riesce a trovare una voce sua pur rivolgendosi in maniera esplicita ad una ben precisa fetta di pubblico, coetanea del regista quasi settantenne.

Infatti l’inadeguatezza vera, la colpa capitale di cui si macchiano Veltroni e i suoi sforzi creativi, è quella di pensare ed esprimersi secondo stili e mentalità fondamentalmente vecchi. Che nel 2023, si debbano ancora fare gag sul non capire come funziona internet, sugli “alieni” ristoranti vegani o sulla presunta e tanto rimproverata ignoranza dei giovani, fa sorridere più per pietà che per diletto. Umorismo trito e ritrito, regia scialba dai tratti televisivi ed una vera e propria occasione sprecata per riflettere sulla situazione politica contemporanea, della quale il cinema italiano sembra essersi completamente dimenticato.

La politica nel cinema ferma al 2015

Quando

Andati sono i tempi in cui la cinepresa era concepita come strumento per intercettare il presente (o nei casi più estremi addirittura predire il futuro): il personaggio di Marcorè si risveglia nel 2015 un po’ perché l’omonimo libro, sempre di Veltroni, su cui si basa il film fu pubblicato nel 2017, un po’ perché è comodo tenere il protagonista lontano da questi nuovi anni ’20. La crisi delle sinistre, il populismo, la deriva estremista delle destre, sono tutti processi storici ancora in evoluzione, ma di certo già in atto dallo scorso decennio, sui quali nessun regista sembra voler riflettere.

Quando è un’occasione mancata non perché scelga di guardare al passato, ma perché esclude dalla discussione il presente: vedere un convinto comunista risvegliarsi nel mondo odierno, e non di quasi 10 anni fa, sarebbe stato uno spunto più che sufficiente sul quale cucire una trama anche modesta, ma quantomeno sinceramente attuale. Ciò che più delude è che il film non ha mordente nemmeno per quanto riguarda la politica post-duemila: un veloce accenno alla prima vittoria di Berlusconi e alle “monetine” di Bettino Craxi sono le coordinate temporali più vicine al regista, non a caso riferite alle uniche figure politiche delle quali il cinema italiano si sia occupato dal 2000 ad oggi.

Il freddo e confuso “Hammamet” di Gianni Amelio e le numerose produzioni dedicate a Berlusconi, spesso indulgenti e fin troppo imparziali, sono le uniche riflessioni storico-politiche di cui registi e scrittori siano stati capaci negli ultimi 30 anni.

L’intero ecosistema cinematografico nostrano è ancora intento a digerire quella storia che, di giorno in giorno, si fa più remota, rinunciando a porsi come mezzo di denuncia e indagine rivolto alla contemporaneità. Perché qui si parla di “cinema politico” e non cinema sociale: di validi autori e documentaristi, come Gianfranco Rosi, dediti al raccontare realtà dimenticate dalla maggioranza, per fortuna, continuiamo ad averne. Quello che manca è un cinema “j’accuse”, un cinema capace di scuotere l’opinione pubblica e indirizzare le sorti del mondo reale, da fin troppo tempo relegato dietro e non davanti alla macchina da presa.

Quando è senile, un po’ fuori luogo e tutto sommato decisamente melenso. Farà sorridere il pubblico over 60 (che, ricordiamolo è da sempre stato colonna portante del botteghino italiano) e praticamente nessun altro, facendo i conti con un passato annebbiato e lontanissimo: proprio come un anziano appollaiato sulla sua sedia, incapace di relazionarsi coi nipoti e con gli occhi annebbiati dalle lacrime, commosso nel dire: “ai miei tempi…” e perciò cieco al presente.


Seguici su InstagramTik TokFacebook Telegram per sapere sempre cosa guardare!

Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club

Appassionato e studioso di cinema fin dalla tenera età, combatto ogni giorno cercando di fare divulgazione cinematografica scrivendo, postando e parlando di film ad ogni occasione. Andare al cinema è un'esperienza religiosa: non solo perché credere che suoni e colori in rapida successione possano cambiare il mondo è un atto di pura fede, ma anche perché di fronte ai film siamo tutti uguali. Nel buio di una stanza di proiezione siamo solo silhouette che ridono e piangono all'unisono. E credo che questo sia bellissimo.

2 Comments

  1. Io non l’ho trovato un brutto film. Non è Spielberg, ma ha un’anima. Veltroni conosce il cinema e i suoi meccanismi e lo ha già dimostrato col tenero C’è tempo con Stefano Fresi, attore geniale. È un film secondo me sulla perdita della memoria e sul cambiamento della nostra società. In meglio? In peggio? Chissà…

    • Salve, intanto grazie del suo commento! Ovviamente ognuno ha opinioni diverse ed è bello confrontarsi proprio per questo; in quanto autore del pezzo sono convinto (e mi piacerebbe convincere anche parte del pubblico magari in futuri articoli) che il mondo sia oggettivamente peggiorato rispetto al passato. Avrei preferito vedere una vera presa di posizione nei confronti della storia recente da parte del film, invece che una riflessione forse matura per Veltroni, ma certamente non carica della grinta che serve al cinema italiano in questo momento. In più aggiungerei che a livello tecnico il film è veramente indifendibile: ho scelto di concentrarmi su altro giusto citando alcune delle pecche, ma dalla regia alla fotografia mi è parso tutto veramente blando, oserei dire sciatto. Però ovviamente ciò non toglie che lei può comunque aver trovato il film un’esperienza piacevole! Diciamo che cercando di ragionare sul contesto storico ed artistico in cui il film è uscito nelle sale, risulta essere decisamente insufficiente.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.