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Venezia 81 – The Room Next Door, Almodóvar così vicino

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6 minuti di lettura

Capita che alcuni registi, per quanto talentuosi e blasonati, non riescano mai a coinvolgere tutti quanti. Pedro Almodóvar è probabilmente uno di quelli. Il suo cinema conosciutissimo convince, sì, ma non troppo, e forse è tutta una questione di parole. È la direzione del regista spagnolo che predilige il parlare al cuore dell’inquadratura, il dialogo alla forma, che spesso rende i suoi film un costrutto interessante quanto di limitato approccio. Come dice lui stesso d’altronde: «Nei miei film si parla molto, la parola è fondamentale come nel teatro». Si può essere d’accordo come si può non esserlo.

E poi all’improvviso arriva The Room Next Door. Candidato in Concorso a Venezia81, è la 24esima fatica registica di Almodóvar e rappresenta un inno alla vita, all’amore e alla dimostrazione del voler amare, anche quando significa lasciar andare.

Di cosa parla The Room Next Door

Il regista pedro Almodóvar

Tilda Swinton e Julianne Moore sono due amiche di lunga data, unite dal lavoro che in gioventù le ha portate a conoscersi all’interno della redazione di una rivista. Si ritrovano solo dopo diversi anni: Ingrid (Moore) diventa una scrittrice di autofiction, Martha (Swinton) una corrispondente di guerra. Ecco che The Room Next Door tesse la trama di una storia relazionale intensa, mostrata nella sua essenza, che riparte da dove è stata lasciata, e che in più aggiunge un elemento di rilievo.

Martha è infatti malata terminale, terzo stadio, e presa consapevolezza della malattia decide di farla finita, chiedendo a Ingrid di starle vicino (La stanza accanto, appunto) negli ultimi attimi della sua vita fino al momento in cui compirà l’atto estremo.

Esserci

Tilda swinton e julianne moore in una scena di the room next door in concorso a Venezia81

In The Room Next Door temi sociali (rapporto genitori/figli, sessualità, ambiente, eutanasia) sono preponderanti, fin da subito, nonostante la leggerezza e la pungente ironia – sensazione soprattutto evocata dall’aura fantasmatica di Tilda Swinton – con cui Almodóvar li mette in scena. Vede la luce un film sulla presenza, costante, dell’esserCi, al di là anche della stessa morale, delle parole. Più potente dell’amore, più intransigente di qualsiasi altra cosa, The Room Next Door è un film che ha lo stesso effetto della calamita. Attrae grazie al coraggio di voler vedere, raccontando una storia d’amicizia che ha un valore semplice e immediato.

Mostrare attraverso gli occhi di un’altra lente, quella di uno sguardo rigoroso del regista che posiziona la macchina da presa con geometria, ricolmo di scene coprenti, che donano calore e colore all’inquadratura. Almodóvar ci tiene, come anche nel precedente Madres Paralelas (2021), a dividere i personaggi nonostante la loro unione simbiontica. C’è dell’individualismo formativo, il verde e il rosso non si mischiano mai, netti e inevitabili, come a voler per forza di cose distinguere chi è chi. In questo senso in The Room Next Door abbiamo un ritratto di una relazione che è duplice: il primo con l’amicizia, il secondo con la vita.

In un film che è pura sensazione, ricco di dialoghi che lasciano spazio non solo alla poesia (il finale di Gente di Dublino di Joyce che è una pars construens) ma anche ai luoghi, gli spazi, gli angoli delle case e delle strade, le chiome degli alberi.

The Room Next Door, vivere attraverso la morte

Tilda swinton in una scena di the room next door in concorso a Venezia81

In una parola: immagini. Sensazioni suscitate dal potere della rappresentazione, di una potenza visiva e ineluttabile come la neve del finale de I morti dalla raccolta di Joyce, che ricopre tutto indistintamente: vivi e morti.  Lo stare accanto incondizionatamente è così un messaggio veicolato attraverso la visione imperativa della macchina cinematografica. In un gioco di specchi, di rimandi, sopravvivere o lasciarsi andare diventa il principio evocativo che sostiene la suspense di tutto. Gli angoli della mente imprevedibili di una promessa suicida si accostano agli stipiti di coloratissime porte che possono chiudersi da un momento all’altro.

C’è da piangere, insomma, ma anche da “ridere”. C’è la situation comedy, così come la storia d’amore, ma soprattutto la vita; che non è per forza la sopravvivenza carnale, solitaria e immortale, ma quello del vivere nonostante tutto, anche e soprattutto nella morte.

Mai così lontano da un film di Almodóvar, che per l’occasione porta sul grande schermo una storia povera di amore, ma ricca di sentimento. Ed estremamente assertivo: morire per rinascere (tema fondante di questo Concorso). The Room Next Door is the end of beginning.


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Studente alla Statale di Milano ma cresciuto e formato a Lecco. Il suo luogo preferito è il Monte Resegone anche se non ci è mai andato. Ama i luoghi freddi e odia quelli caldi, ama però le persone calde e odia quelle fredde. Ripete almeno due volte al giorno "questo *inserire film* è la morte del cinema". Studia comunicazione ma in fondo sa che era meglio ingegneria.

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