Il motivo fondante per cui guardiamo film, dalle prime proiezioni dei Lumiére allo streaming sul cellulare (non ditelo a Lynch…), è rimasto lo stesso nell’arco di un secolo: la volontà di restare stupiti, meravigliati, di evadere in un mondo altro. Ben pochi autori riescono a portare lo spettatore in un universo così caratteristicamente fiabesco e affascinante come Guillermo del Toro.
Guillermo del Toro, C’era una volta dal Messico
Regista, sceneggiatore e produttore, l’esordio di Guillermo del Toro, messicano, è datato 1993 con Cronos, mentre il successo internazionale arriva nel 2002 con Blade II, sequel del fortunato film sul vampiro di casa Marvel. La lunga carriera di del Toro spazia dal cinema alla TV (Cabinet of Curiosities), dall’autoriale (La spina del diavolo) al blockbuster (Pacific Rim) e culmina nel 2018 con il doppio premio Oscar per miglior film e regia per La forma dell’acqua, statuetta che riabbraccia nel 2023, stavolta per il miglior film di animazione, con Pinocchio. Tra i suoi progetti futuri c’è l’atteso Frankenstein del prossimo anno, per il quale non si sarebbero potute immaginare mani più adatte.
Del Toro si è distinto fin dagli inizi per uno stile inconfondibile e una fascinazione verso i mostri ed il sovrannaturale. Negli anni ha saputo mescolare sapientemente il mondo delle fiabe e quello dell’horror, dando spesso vita a vere e proprie favole dark, popolate da creature del folklore popolare e dell’immaginario religioso, non lesinando sull’impatto visivo forte, da un lato, e sul cuore pulsante dell’autore, dall’altro.
La componente madrelingua spagnola è stata fondamentale in particolare all’inizio della sua carriera, con storie ambientate anche nella Spagna franchista: i suoi film sono spesso pregni di messaggi politici ed antifascisti, oltre ad un amore verso gli emarginati, gli incompresi e lo sbeffeggiare la paura verso il “diverso”. In questo senso, si allinea molto per poetica a Tim Burton, seppur con stili differenti.
La forma dell’acqua sarebbe stata una scelta forse troppo ovvia: vi presentiamo quindi tre suoi film sì celebri, ma soprattutto profondamente interconnessi per immaginario e stile, che raccontano di oppressione, di evasione, di genitori fallaci e di figli in cerca del proprio posto nel mondo.
Il manifesto: Il Labirinto del Fauno
Anno: 2006
Durata: 119′
Interpreti: Ivana Baquero, Doug Jones, Sergi Lòpez, Maribel Verdù
Alzi la mano chi non conosce Il Labirinto del Fauno. Tra le opere più famose di del Toro, racconta di Ofelia (Ivana Baquero), bambina che nella Spagna franchista del 1944 si trasferisce con la madre nella casa-base in campagna del nuovo compagno di lei, il crudele capitano Vidal (Sergi Lòpez), il cui compito è stanare i ribelli al regime nascosti nei boschi. Qui, la piccola fa la conoscenza di un fauno (Doug Jones), che la introduce a un mondo incantato al quale si accede dall’antico labirinto nel giardino, e di cui la creatura sostiene che Ofelia sia la principessa a lungo perduta.
Ne Il Labirinto del Fauno c’è tutto Guillermo del Toro – qui anche sceneggiatore e produttore – a cominciare dal look delle creature magiche. Il fauno e il temibile Uomo Pallido, in primis, sono interpretati dal fedelissimo di del Toro, Doug Jones, rigorosamente con costumi e trucco eccezionali: una costante del regista messicano, il quale fa del make-up pratico uno dei suoi marchi di fabbrica, evitando il più possibile la CGI. Ciò contribuisce all’innegabile fascino del mondo in cui viene catapultata Ofelia, un universo sotterraneo sì fiabesco ma decadente e oscuro: le rovine di un antico, maestoso reame, concepito quasi più per spaventare dei bambini che attirarli e che nasconde più di un pericolo mortale.
È qui che Ofelia si rifugia, in fuga da una madre indebolita dalla gravidanza e un patrigno autoritario e malvagio. La componente militare assume un ruolo di primo piano parallelamente a quella fantasy, mentre gli orrori della guerra e della dittatura entrano sempre più nella vita di Ofelia, la quale ha nella coraggiosa domestica Mercedes e nel gentile dottor Ferreiro i suoi unici altri volti amici. Del Toro confeziona una storia imperdibile, estremamente affascinante per messa in scena e storytelling e toccante nella denuncia dei regimi fascisti e dell’insensatezza di un conflitto percepito attraverso gli occhi di una bambina.
Il cinecomic d’autore: Hellboy e Hellboy: The Golden Army
Anno: 2004 e 2008
Durata: 122′ e 119′
Interpreti: Ron Perlman, Selma Blair, Doug Jones, John Hurt, Jeffrey Tambor, Karel Roden (Hellboy), Luke Goss (Hellboy: The Golden Army)
Il periodo immediatamente pre-rivoluzione MCU, a metà degli anni Duemila, vide una decisa fioritura del genere dei cinecomic sulla scia del successo degli Spider-Man di Sam Raimi e degli X-Men della Fox. Tra prodotti più riusciti e altri decisamente meno, i due Hellboy di Guillermo del Toro restano ancora oggi tra i migliori rappresentanti del genere, oltre che fulgidi esempi di come un autore possa applicare la propria personale visione anche a un genere mainstream come il film di supereroi.
I film di Hellboy sono tratti dall’omonima serie fumettistica di Mike Mignola per Dark Horse Comics e raccontano di un demone infernale evocato dai nazisti con una mossa disperata sul finire della Seconda Guerra Mondiale. La creatura, ancora infante, verrà però trovata dagli Alleati e cresciuto dal mite professor Broom (John Hurt), che lo rinominerà Hellboy (o Red per gli amici) e lo trasformerà in un detective del paranormale.
L’agente demoniaco – grande amante dei gatti – è interpretato alla perfezione da un incontenibile Ron Perlman, con un mix di carisma e ironia pungente nell’affrontare minacce di ogni sorta, provenienti dall’iconografia cristiana a quella nordica, fino ai miti dei boschi e delle foreste. Torna anche qui Doug Jones, per cui del Toro stravede, grazie al suo particolare fisico che gli consente di interpretare i personaggi più borderline, stavolta nei panni della creatura amica di Red, l’anfibio Abe Sapien.
Il primo capitolo è più buio e dark e si contrappone quasi come un negativo a un secondo dai toni più accesi e ambrati. Hellboy e Hellboy: The Golden Army sono un unicum nel panorama dei cinecomic proprio per la loro estetica profondamente e inconfondibilmente à la del Toro, in particolare per i villain, come il macabro Kroenen, la mitica Armata d’Oro o perfino un Angelo della Morte decisamente opposto rispetto a un cinematografico Joe Black.
Tutto è pervaso dall’artigianalità, grazie ai numerosi set ricostruiti con dovizia, che hanno permesso di creare un immaginario assolutamente unico ed originale. In particolare The Golden Army alza ancora di più il livello, portandoci a scoprire un antico mondo sepolto più luminoso e caldo di quello in superficie, popolato da creature folkloristiche di ogni sorta. Sembra il naturale ampliamento di quanto visto ne Il Labirinto del Fauno.
La dilogia di Hellboy, però, è anche e soprattutto la storia di un padre impreparato per un figlio indesiderato. Cresciuto come un umano da un padre che ha cercato il più possibile di proteggerlo, Red cerca in tutti i modi di integrarsi in una società che non è pronta ad accoglierlo – arrivando a limarsi le corna da diavolo. Poco conta che Red sia la migliore arma di difesa contro le forze oscure. Prima ancora dell’Apocalisse da sventare, il nucleo di Hellboy è rappresentato proprio dalle vicissitudini umane del suo protagonista diavolo, combattuto anche dall’amore per Liz (Selma Blair), pirocinetica che sembra essere l’unica in grado di comprenderlo.
Resterà sempre il rimpianto di non aver avuto il capitolo conclusivo della trilogia, in favore di un più che dimenticabile reboot con David Harbour (che non ha visto il coinvolgimento di del Toro), mentre al momento non è ben chiaro il destino di Hellboy: The Crooked Man, nuovo tentativo teoricamente in uscita quest’anno ma del quale si stanno perdendo le tracce.
Per scaldarsi il cuore: Pinocchio
Anno: 2022
Durata: 121′
Interpreti (voci): Ewan McGregor, David Bradley, Ron Perlman, Tilda Swinton, Christoph Waltz, Cate Blanchett
Come si riporta di nuovo sullo schermo una delle storie più famose e raccontate del mondo? Reinventandola ed innovandola. Pinocchio è stato visto in tutte le salse: animazione classica, live action e serie televisiva, tanto che la risposta a ogni annuncio di una nuova trasposizione suscita soltanto un dubbioso “ancora?“. Eppure, Guillermo del Toro prende il racconto di Collodi e lo fa suo a 360°, senza perdere il rispetto per la fonte originale ma piegandola ai suoi canoni.
Ecco quindi un inusuale ma efficacissimo musical in stop motion ambientato in Italia durante gli anni del fascismo. Del Toro apporta modifiche all’opera di Collodi, trasformando la Volpe nell’avaro Conte Volpe (Christoph Waltz), accompagnato non dal Gatto, ma dalla scimmietta Spazzatura (Cate Blanchett); non c’è spazio per Mangiafuoco e il Paese dei Balocchi, ma solo per la crudeltà della guerra. Il regista messicano non ha paura di mostrare saluti romani e gioventù Balilla in un film per bambini, bambini che ancora una volta, nel film, sono le prime vittime dei conflitti armati tra gli adulti. Al contempo, però, si diverte a sbeffeggiare Mussolini e quel fascismo che per Pinocchio non è che una divisa in platea.
In tutto questo si barcamena il povero Geppetto (David Bradley), falegname che per le bombe ha perso un figlio. Ora lo cerca in tutti i modi nell’incontenibile burattino. La storia è narrata dal colto grillo parlante Sebastian (Ewan McGregor). L’elemento più interessante, però, è ancora una volta la rappresentazione della morte e degli elementi sovrannaturali, di cui del Toro si appropria al 100%. La fata buona diventa una Chimera di fattezze bibliche, Pinocchio incontrerà sul suo cammino anche la di lei gemella Morte: due personaggi incredibilmente affascinanti e che non possono che richiamare proprio l’Angelo della Morte visto in Hellboy: The Golden Army.
Guillermo del Toro confeziona la rivisitazione adulta ma dolcissima di un’opera che non sembrava aver più nulla da dire, ma che invece, toccata nelle corde giuste, esplode con una potenza espressiva incredibile – grazie anche ad un cast vocale a 5 stelle – e che sarà metro di paragone per molti anni.
Nello stesso anno, curiosamente, uscì il disastroso Pinocchio di Zemeckis.
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