Nel 2003 James Mangold ottiene dalla Columbia Pictures l’incarico di occuparsi del remake di Quel Treno per Yuma, cult western del 1957 diretto da Delmer Daves e tratto da un racconto del compianto Elmore Leonard. Dopo una produzione e una realizzazione travagliate – compreso l’avvicendamento tra Columbia e Lionsgate – la pellicola vede la luce solo nel 2007: i ruoli che furono di Glenn Ford e Van Heflin vengono ereditati rispettivamente da Russell Crowe e Christian Bale.
In occasione del cinquantesimo compleanno dell’attore britannico vogliamo approfondire quella che è una piccola perla della sua filmografia, spesso tralasciata in mezzo ai tanti titoli cui Bale ha prestato il suo eclettico volto.
La trama di Quel Treno per Yuma
Nell’arida Arizona del 1884, Dan Evans (Bale) è un veterano della Guerra di Secessione con due figli e tanti debiti, che cerca di mandare avanti in tutti i modi il ranch di famiglia. Quando è ormai con l’acqua alla gola (solo metaforica: l’assenza dell’oro blu è uno dei motivi delle difficoltà della sua famiglia), Evans accetta, in cambio di una ricca ricompensa, di unirsi alla squadra che scorterà il famigerato bandito Ben Wade (Crowe) alla città di Contention, dove lo attende il treno delle 3.10 per la prigione di Yuma.
La strada per la stazione è però lunga e tortuosa, e lungo la via Evans e Wade avranno modo di sviluppare una riluttante conoscenza, che si evolverà lentamente in un reciproco rispetto e confronto psicologico tra due figure apparentemente così differenti.
Due treni, due banditi, due padri
“Dannati treni, non ci puoi fare affidamento”
Quel Treno per Yuma è un remake molto fedele nelle parti che vengono riprese dall’originale, ma che allarga ampiamente la storia di partenza: con una durata di quasi mezz’ora in più, si concentra anche sul viaggio verso Contention, che originariamente non veniva mostrato in favore di una seconda metà del film interamente ambientata nella cittadina.
Ciò dà la possibilità di approfondire i due personaggi cardine di Quel treno per Yuma e ampliare, dandogli più tempo, il loro rapporto. Bale dà al suo Evans una dimensione più stanca e disperata, trasmettendo allo spettatore il suo essere ormai alle corde ma senza al contempo perdere la propria integrità morale fino alla fine, in cerca anche di un riscatto morale agli occhi del figlio adolescente William, col quale ha un legame difficile.
Crowe, dal canto suo, ha la possibilità di misurarsi nell’inedita veste di (almeno inizialmente) villain: per quanto la performance di Glenn Ford sia irraggiungibile, l’attore australiano restituisce il fascino magnetico di un fuorilegge sfaccettato che non si fa problemi ad uccidere un membro della sua stessa banda, ma che si ritrova a diventare quasi amico dell’uomo che lo sta accompagnando al patibolo. Un bandito carismatico e temibile, con dei princìpi inaspettati, come l’inedita sfumatura religiosa simboleggiata dalla croce incisa nell’impugnatura della sua pistola.
Il resto del cast di Quel treno per Yuma vede anche una leggenda come Peter Fonda (Byron McElroy), un sorprendentemente diabolico Ben Foster nei panni di Charlie Prince, Alan Tudyk (Doc Potter) e un appena quattordicenne Logan Lerman (William Evans). Trattandosi di un genere e di un racconto prevalentemente maschile, le figure femminili sono poche: in particolare Alice (Gretchen Mol), la moglie di Evans, è l’unico personaggio che rispetto all’originale vede il suo ruolo molto più ridotto.
Quel Treno per Yuma corre su binari solidi
All’epoca, James Mangold si presentava con una filmografia versatile, che spaziava dalla rom-com (Kate & Leopold) al dramma (Ragazze interrotte). Con Quel Treno per Yuma trova una propria dimensione che riproporrà in seguito con successo anche in pellicole non strettamente western, come Logan-The Wolverine, Le Mans ’66 e Indiana Jones e il Quadrante del Destino.
Mangold opera una commistione tra vecchio e nuovo, in un film che segue i binari del western classico ma realizzandoli in chiave più moderna. C’è poco dell’atmosfera da golden age: quest’Arizona è polveroso, secco, arido. Gli stessi personaggi non sono luminosi e sotto i riflettori, ma sudati, sporchi, sgualciti come i vestiti di Evans. D’altro canto troviamo alcuni grandi stilemi del genere, come l’assalto alla diligenza che dà il via alla storia e la fuga dai cercatori d’oro: è nelle sparatorie simbolo di un’epoca che la regia di Mangold dà il suo meglio.
Il regista newyorkese è eccellente però anche nel costruire la tensione crescente nei minuti di attesa delle 3.10, sempre più dilatati e opprimenti, per poi esplodere nel climatico finale, principale punto di differenza dall’originale e piuttosto americano nel suo svolgimento, se si vuole trovare il pelo nell’uovo, ma indubbiamente emozionante ed efficace.
Menzione d’onore merita la magnifica colonna sonora di Marco Beltrami, per la quale ricevette una candidatura all’Oscar nel 2008, insieme a quella per il miglior sonoro. Beltrami qui inaugura un proficuo sodalizio con Mangold, proseguito con Wolverine-L’immortale, Logan e Le Mans ’66: le sue musiche fanno quasi da sottofondo nel corso della storia, con sonorità da genere classico, crescendo lentamente e costruendo un climax che ha il suo apice nella conclusione.
L’anno d’oro del western moderno
Quel Treno per Yuma arriva in un’annata ottima per gli amanti del western: nel 2007 fu accompagnato infatti anche da L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford (Andrew Dominik), con cui condivide ottime critiche ed un ingiusto magro risultato al botteghino, e Non è un paese per vecchi (fratelli Coen). Tutti esempi di un genere che, seppur lontano dai fasti del passato, ha ancora più di qualcosa da dire post-2000: basti pensare, per citarne qualcuno oltre ai titoli di cui sopra, ad Appaloosa (2009), Il Grinta (2010), Django Unchained (2012), The Hateful Eight (2015) e Bone Tomahawk (2016).
Non entreremo nell’annosa questione “meglio il remake o l’originale”. Ci limiteremo a sottolineare come, in un rapporto che è spesso complicato, sia una fortuna poter assistere a rifacimenti di questa qualità. Quel Treno per Yuma è un western che omaggia ed ama il genere, riportandolo in auge con canoni moderni ed efficaci. Il duo centrale Bale-Crowe è di altissimo livello e guida con carisma una pellicola che troppo spesso passa sottotraccia nella carriera di entrambi.
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