Se c’è un autore che è possibile definire prolifico, strabordante, iper-produttivo, quello è Ryan Murphy. Instancabile e poliedrico, Murphy ha ideato, sceneggiato, prodotto e diretto alcune tra le Serie TV più rilevanti e influenti degli ultimi anni. Dopo aver rilasciato nel 2022 Dahmer e The Watcher, entrambe per Netflix, Murphy torna con la seconda stagione della serie antologica Feud, uscita nel 2017.
Feud: Capote vs. The Swans è disponibile su Disney+ dal 15 maggio.
Feud, la prima stagione e le tematiche generali
Dopo aver raccontato l’horror americano in American Horror Story, i più celebri scandali criminali in American Crime Story, con Feud Ryan Murphy decide di raccontare le più famose e chiacchierate liti della cultura popolare americana.
La prima stagione di Feud, Feud: Bette and Joan, è uscita nel 2017 e racconta la rivalità tra Bette Davis, interpretata da Susan Sarandon, e Joan Crawford, interpretata da Jessica Lange. La serie si concentra soprattutto sul periodo di realizzazione del film Che fine ha fatto Baby Jane? diretto da Robert Aldrich nel 1962 ma, grazie ai ripetuti salti temporali, divenuti una costante in questo tipo di produzioni di Murphy, ci spostiamo continuamente avanti e indietro nel tempo così che la narrazione copra un periodo molto più ampio.
La rivalità tra le due attrici hollywoodiane è nota, ma la probabilità che sia una costruzione, una trovata pubblicitaria, è consistente; la serie, però, sposa l’ipotesi della veridicità dell’antagonismo. La competizione era nata all’interno dello star system che alimentava il loro senso di inadeguatezza: una era bellissima ma non abbastanza brava, l’altra talentuosa ma non abbastanza bella.
Murphy utilizza la vicenda di Bette Davis e Joan Crawford per affrontare tematiche a lui già molto care e sviluppate in altri prodotti, quali il sessismo, l’invecchiamento femminile e soprattutto il potere. Le faide raccontate da Murphy sullo schermo non sono altro che scontri dovuti al potere, parlano di chi lo detiene e di chi lo desidera, di chi lo rivendica e di chi lo subisce.
Le due attrici sono colte in un momento della loro vita in cui la giovinezza è già passata e sono considerate troppo vecchie per il cinema, sono sottomesse a un sistema intriso di sessismo e ne escono vittime due volte, della loro età e della competizione tra di loro; la storia illustra in maniera efficace come i posti concessi alle donne siano sempre stati esigui e la lotta per occuparli spietata.
Bette Davis e Joan Crawford combattono tra di loro e gareggiano per ricoprire quell’unico posto di potere concesso alle donne, ma così facendo si sottomettono loro stesse al potere esercitato su di loro da un gruppo di uomini che hanno l’autorità e la possibilità di decidere se le due donne possono o meno lavorare, come e quando, e se possono o meno essere alleate.
Feud: Bette and Joan ci fa entrare dietro le quinte di Hollywood e svela come dietro il sipario si nasconda un gioco manipolatorio, crudele e senza scrupoli, condotto da uomini che approfittano delle insicurezze di queste donne per instillare in loro un costante complesso di inferiorità. Pur raccontando la vicenda personale delle due attrici, queste diventano la rappresentazione della vita di molte altre donne perché le dinamiche tossiche a cui devono sottostare si possono facilmente ritrovare in molte altre circostanze, allora come oggi.
Se Feud: Bette and Joan riesce a centrare il punto tematico grazie a una sceneggiatura ben articolata e sviluppata, si deve riconoscere che anche la parte tecnica e di regia regge il confronto con trovate in linea con i punti più alti raggiunti da Murphy che ne hanno decretato il successo. In questo senso degno di nota è almeno il quinto episodio, quello dedicato alla notte degli Oscar 1963, scritto e diretto proprio da Murphy, costruito alternando parti in bianco e nero e altre a colori, gioca con un effetto finto documentaristico ed è uno dei punti registici più alti dell’intera serie; da menzionare anche il piano sequenza che sembra omaggiare Quei bravi ragazzi di Scorsese.
Feud: Capote vs. The Swans, di cosa parla
La seconda stagione di Feud è dedicata a una grande faida degli anni ‘70 newyorkesi che vede coinvolto Truman Capote (Tom Hollander) e alcune delle donne più ricche e influenti dell’alta società, amiche sue, da lui stesso soprannominate “i suoi cigni”.
A ben vedere ad ognuna di loro si potrebbe dedicare un intero documentario: c’è Babe Paley (Naomi Watts) moglie di Bill Paley (Treat Williams), fondatore e dirigente della CBS, Slim Keith (Diane Lane) ex moglie del regista Howard Hawks, del produttore Leland Hayward e infine del banchiere e aristocratico britannico Kenneth Keith. CZ Guest (Chloë Sevigny) moglie di Winston Frederick Churchill Guest con la passione per il giardinaggio e i cavalli, Lee Radziwill (Calista Flockhart) sorella della first lady Jacqueline Kennedy Onassis, Joanne Carson (Molly Ringwald) ex moglie di Johnny Carson, conduttore del “Tonight Show”, e, un po’ distante, Ann Woodward (Demi Moore), accusata, proprio da Capote, di aver ucciso il marito erede bancario William Woodward Jr.
Truman Capote dopo aver pubblicato tra il 1965 e il 1966 il romanzo A sangue freddo si dedica, più che alla scrittura, alla vita mondana e alle apparizioni televisive, fino a che nel 1975 pubblica, sulle pagine dell’Esquire, il racconto intitolato La Côte Basque, 1965 in cui rivela alcuni tra i segreti più scabrosi delle sue più care amiche. L’articolo doveva essere un estratto del romanzo a cui stava lavorando dal 1958, Preghiere esaudite, che però non fu mai terminato; il romanzo uscì postumo ed è però solo una parte del manoscritto di Capote che non è mai stato trovato.
Dopo l’uscita dell’articolo le donne dell’alta società estromisero completamente Capote e tagliarono con lui ogni tipo di rapporto, la vita dello scrittore precipitò in una discesa sempre più tragica costellata di alcool e droghe, apparizioni ogni volta più imbarazzanti, solitudine e meschinità.
Feud: Capote vs. The Swans è scritta da Jon Robin Baitz basandosi sul libro Capote’s woman di Laurence Leamer, sei delle otto puntate sono dirette dal regista Gus Van Sant (la quinta è diretta da Max Winkler e la settima da Jennifer Lynch) e Ryan Murphy figura solo come produttore esecutivo.
Feud: Capote vs. The Swans, un gioco di potere
Questa stagione di Feud, più che concentrarsi sulla faida, punta i riflettori sulla figura del suo protagonista, Capote, sulla sua ascesa e successiva caduta, fino alla morte avvenuta nel 1984 senza aver mai ricevuto il perdono dai suoi cigni offesi. Anche per questa seconda stagione, così come avveniva per la prima, la narrazione procede per continui salti temporali così che il raggio di azione della storia si allarghi dagli anni ’60 fino agli anni ’80, comprendendo gran parte della parabola di Capote.
L’apice della sua vita e carriera è rappresentato dal ballo in bianco e nero organizzato nel 1966 all’Hotel Plaza di New York per festeggiare il successo del suo libro A sangue freddo (e quindi anche la sua figura). All’evento è dedicato il terzo episodio che risulta essere uno dei più importanti per capire la personalità di Truman Capote, o almeno del Truman Capote che Feud ci vuole raccontare.
L’episodio è girato in bianco e nero, come se fossero le riprese effettuate dai documentaristi Albert e David Maysles: i due nella realtà hanno davvero realizzato un documentario su Truman Capote (A Visit With Truman o With Love from Truman), un’intervista allo scrittore nella sua casa, incentrata soprattutto su A sangue freddo; nella serie, invece, il documentario è incentrato sul ballo in bianco e nero e vi appaiono tutte le amiche di Capote.
L’espediente è utile per poter adottare un occhio indiscreto, quello della telecamera, per riprendere stralci di vita privata e dichiarazioni compromettenti così da rivelare la vera anima di Truman Capote e dei suoi cigni: tutti mostrano una natura egoista e crudele, ma se le donne manifestano invidia, gelosia, disprezzo e soprattutto una forte dipendenza all’attenzione e all’affetto di Capote, lui ne risulta del tutto consapevole e si diverte a giocare con loro rivelandosi come un manipolatore e un abile bugiardo.
L’episodio ci consegna una chiave di lettura sul personaggio e forse una spiegazione al suo gesto, rivelatosi poi completamente suicida; pubblicando l’articolo di Esquire, Capote voleva forse mettere alla prova l’affetto dei suoi cigni e verificare quale fosse il limite concessogli, ma, in definitiva, si spinse troppo oltre.
Feud rivela Capote come un predatore che seduce le sue vittime, le ammalia per poi colpirle, screditarle, danneggiarle, tutto per dimostrare, probabilmente, la sua superiorità e il suo potere; ma la situazione si ribalta e a uscirne distrutto è proprio lui. A ben vedere, quindi, Capote non ha mai detenuto il potere che pensava di avere, al contrario furono le sue amiche che, rivendicando la loro importanza sociale e il loro prestigio, decretarono la sua fine.
Da quel momento in avanti la vita di Capote è una discesa inesorabile all’inferno costellata di alcol e droghe, scriverà molto poco e le sue apparizioni mostrano, più che lui stesso, la sua caricatura. La caduta di Capote è straziante, ma non solo lui mostra il suo lato più oscuro e riprovevole, anche i cigni si rivelano per le persone meschine che sono veramente.
L’ultima parte di Feud è per questo a tratti respingente perché lo spettatore non riesce a empatizzare davvero con nessuno dei personaggi, tutti risultano antipatici e sgradevoli; in questo sembra che sia stato fatto un lavoro molto più stratificato e meta-riflesivo di quello che potrebbe apparire a primo impatto: Capote, fin dal romanzo A sangue freddo, ha cercato di indagare l’animo umano, la sua cattiveria intrinseca, la spregiudicatezza e la voglia di riscatto, così sembra che anche gli autori abbiano voluto far emergere queste caratteristiche dai loro personaggi, e come Capote ha cercato di restituire un ritratto della società americana complesso, brutale e senza scrupoli, anche la società rappresentata nella serie appare disincantata e spietata.
I personaggi di Feud sono tutti danneggiati, tutti succubi di traumi passati, soprattutto Capote, che dovrà sempre fare i conti con la figura oppressiva e ingombrante della madre, e tutti combattono e feriscono per prevalere e dominare in questa società dell’apparenza. In definitiva la faida tra Capote e le donne newyorkesi risulta essere solo un mero pretesto per concentrarsi sulla storia e sulla figura di Capote che sembrano essere il vero focus della stagione di Feud.
Non aiutano nemmeno i ripetuti salti temporali che, a differenza della prima stagione, sono percepiti come superflui e poco chiari: spesso è difficile capire se ci si trova prima o dopo la pubblicazione dell’articolo, la resa è a tratti confusa, e probabilmente, in questo caso, avrebbe giovato una scelta di narrazione temporalmente lineare.
Detto questo, Feud: Capote vs. The Swans è un prodotto convincente e riuscito nel suo intento, in cui è possibile riconoscere l’apporto di ciascuna delle personalità coinvolte, una ricostruzione in cui a regnare è l’esteticità perfetta, la superficialità ostentata, la cattiveria nascosta (ma non troppo) e la solitudine: una resa perfetta della doppia faccia della società americana.
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