Era il 2015 quando George Miller ci scaraventava di nuovo nell’Australia post-apocalittica con l’esplosivo, scatenato, magnifico reboot Mad Max Fury Road, che si è affermato come il miglior action movie dello scorso decennio facendo incetta di Oscar tecnici (sei statuette). A distanza di quasi un decennio, si torna finalmente nel bollente deserto, facendo un passo indietro: la storia dell’imperatrice Furiosa, con Anya Taylor-Joy che eredita lo scettro che fu di Charlize Theron.
Presentato in anteprima al Festival di Cannes, dove ha ricevuto una lunga standing ovation, Furiosa: A Mad Max Saga è al cinema dal 23 maggio.
Ammiratela: la storia di Furiosa
Decenni prima degli eventi di Fury Road, Furiosa (Anya Taylor-Joy) è solo una bambina, che vive nell’idilliaco Luogo Verde delle Molte Madri, l’ultimo Eden rimasto dopo l’olocausto nucleare. Un giorno, però, viene rapita dall’orda di motociclisti predoni guidata dal crudele signore della guerra Dementus (Chris Hemsworth). Passerà la vita a cercare di mantenere la promessa fatta alla madre, di tornare a casa, non importa quanto ci vorrà: la sua strada attraversa, successivamente, anche la Cittadella, intrecciandosi con quella di Immortan Joe (Lachy Hulme), del quale diventa un soldato per trovare la propria vendetta.
Il ritorno in grande stile di George Miller
Il successo di un capolavoro come Fury Road portò subito a chiedere a gran voce un sequel. George Miller promise ben due film: Furiosa, appunto, ed un seguito vero e proprio; ma se del secondo, provvisoriamente denominato Mad Max: The Wasteland, al momento si sono purtroppo perse le tracce tra Covid e diatribe legate ai costi di produzione, Furiosa è finalmente in sala (allo stesso modo ritardato dalla pandemia).
I paragoni con l’originale sono utili ai fini del contesto, ma non aspettatevi un Fury Road 2.0: Furiosa sta in piedi da sé, e lo fa alla grandissima. Mentre il film con Tom Hardy era quasi uno spaccato di due ore, una forsennata corsa a cento all’ora nel deserto, Furiosa si prende il suo tempo (con una durata di mezz’ora in più) per raccontare l’origin story di un personaggio amatissimo fin dalla sua prima comparsa, riportando tutto ciò che era stato amato nel film precedente e ampliandolo.
È incredibile il modo in cui George Miller, alla soglia delle ottanta primavere, abbia l’energia di un esordiente nel consegnarci un lavoro enorme come questo: Furiosa aggiunge uno strato di profondità al suo predecessore, con un piano narrativo più approfondito attraverso le tematiche classiche del viaggio dell’eroe (o meglio, dell’eroina) e della ricerca di vendetta.
Il mondo delle Terre Desolate viene espanso, visitando gli insediamenti di Bullet Farm e Gas Town e incontrando alcuni volti conosciuti come i Figli di Guerra, Rictus e il Mangiauomini, assieme ad altri nuovi (Dementus, Praetorian Jack – figura che Furiosa rivedrà nello stesso Max); la portata epica è strabordante e si districa tra le scene d’azione ed i momenti di quiete, in cui i protagonisti, Furiosa in primis, costruiscono quello spessore per la cui assenza alcuni avevano criticato Fury Road.
Miller porta ancora a scuola buona parte della scena registica action contemporanea. Le sequenze d’azione sono mozzafiato e girate in maniera magistrale: tengono lo spettatore incollato allo schermo, ma permettendo sempre di distinguere in maniera chiara cosa sta succedendo; non si può che rimanere stupiti anche dalla voglia di Miller di sperimentare e di innovare il suo stile, per nulla scontata in un regista della sua età, con una lunghissima carriera alle spalle.
Tutto ciò è reso possibile anche dal comparto tecnico di altissimo livello: la vividissima fotografia in 8k di Simon Duggan (Il Grande Gatsby, La battaglia di Hacksaw Ridge), il montaggio da manuale di Margaret Sixel (che aveva già firmato Fury Road, nonché moglie di Miller) e il roboante ritorno di Junkie XL alla colonna sonora.
Rispetto ai quasi totali effetti pratici del predecessore, Miller stavolta fa un uso maggiore della CGI, pratica che potrebbe far storcere qualche naso, seppur il suo utilizzo non venga mai esagerato.
Furiosa, la consacrazione di Anya Taylor-Joy e la rivincita di Chris Hemsworth
Anya Taylor-Joy aveva un’eredità ingombrante da portare in spalla, poiché Charlize Theron aveva regalato una performance acclamata e memorabile nei panni dell’imperatrice. Ebbene, la protagonista, tra gli altri, di The Witch, The Northman e La regina degli scacchi sta vivendo un momento magico della sua carriera: a 28 anni ha già collaborato con Eggers, Shyamalan, Miller e Villeneuve (non dimentichiamo poi il ruolo, secondario ma importante, in Peaky Blinders) e in Furiosa ci ricorda il perché.
Come fu per il Max di Tom Hardy, anche Furiosa non ha bisogno di parlare (anche se qui c’è un motivo ben preciso): considerando anche che il primo abbondante terzo del film è dedicato ai flashback della sua infanzia – da segnalare l’ottima prova della piccola Alyla Browne – la Taylor-Joy lavora con appena 30 battute in 150 minuti. Ciò non le impedisce di impadronirsi del ruolo: la sua performance è di presenza fisica, di movenze e di sguardi e l’attrice angloamericana diventa una risoluta e determinata Furiosa dal primo momento in cui è in scena, regalando un’altra grande interpretazione della sua lanciatissima carriera.
Il silenzio di Furiosa è compensato da un Dementus che parla per entrambi. Abituati all’immagine del Chris Hemsworth eroe action, è interessante poterlo vedersi confrontare nell’insolita veste di villain (per quanto vi si sia già cimentato in Spiderhead di Joseph Kosinski, con risultati tiepidi) e lo stesso attore australiano sembra divertirsi parecchio. Hemsworth va vicino alla prova della carriera, dimostrando di avere diritto di cittadinanza anche in produzioni più alte di quello che è diventato lo standard Marvel e in ruoli differenti: il suo Dementus è megalomane e malvagio, di grande impatto scenico, anche se l’attore sfiora a tratti il confine con l’eccesso, perfino per gli standard sopra le righe del mondo creato da Miller.
La gioia del cinema nel “deserto” autoriale
Giunti ormai quasi a metà dell’anno, possiamo affermare a questo punto che il deserto sia il terreno fertile dell’intrattenimento nel 2024: in appena tre mesi abbiamo avuto Dune – Parte Due, la serie su Fallout e, appunto, Furiosa, tre prodotti di altissimo livello. La rinascita del blockbuster d’autore è una notizia fondamentale per lo stato di salute dei cinema: combinare lo spettacolo alla qualità è possibile e sono film come questi che ricordano allo spettatore il motivo per cui paga il biglietto (non poco, purtroppo) e per cui ama andare al cinema. Furiosa e Dune, per non andare lontano, vanno vissuti assolutamente in sala, nella migliore possibile, perché è ciò per cui sono stati pensati ed e lì che l’esperienza raggiunge il suo apice: i muri che tremano alle esplosioni, i sedili che vibrano al rombo dei motori ad alti ottani.
In una fase complicata come questa per i cinema, tra gli strascichi del Covid e la concorrenza spietata dello streaming, è vitale avere pellicole che attirino tanto pubblico e che soprattutto lo vedano uscire soddisfatto: per fare un passo indietro, ricordiamo l’importanza avuta da Top Gun: Maverick e Avatar – La via dell’acqua, ma perfino lo stesso Oppenheimer, che non è blockbuster in senso stretto, ma ha visto coincidere la massima maturità artistica raggiunta da Nolan con degli incassi eccezionali.
Proprio come in un film, è nel momento del bisogno che due grandi vecchi del cinema pop moderno come James Cameron e George Miller sono tornati a tenere un corso su come si gira un blockbuster.
Furiosa è in tutte le sale. Ammiratela!
Seguici su Instagram, Tik Tok, Twitch e Telegram per sapere sempre cosa guardare!
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!