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Un'immagine tratta da L'arte della gioia di Valeria Golino: Modesta (Tecla Insolia) guarda in camera

L’arte della gioia, ritratto della giovane in cerca di libertà

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14 minuti di lettura

Presentata allo scorso festival di Cannes, L’arte della gioia rappresenta l’esordio televisivo per l’attrice, regista e sceneggiatrice italiana Valeria Golino. Adattamento dell’omonimo romanzo di culto scritto da Goliarda Sapienza (che peraltro sarà interpretata dalla stessa Golino nel prossimo film di Mario Martone, Fuori), la serie televisiva ha riscontrato un grande successo di critica e di pubblico, prima al cinema – la serie ha avuto una release in due parti nelle sale cinematografiche d’Italia la scorsa estate – e poi in TV, distribuita settimanalmente a partire dal 28 febbraio su Sky e NOW TV.

Noi di NPC Magazine abbiamo avuto modo di vedere la serie di Valeria Golino e di prendere parte alla conferenza stampa di presentazione tenutasi il 24 febbraio al Cinema Barberini di Roma, alla presenza della regista, del cast, degli scenggiatori e della dirigenza di Sky. Dopo aver visto l’intera serie de L’arte della gioia e sentito le maestranze dietro il progetto, possiamo evidenziare quanto sia un progetto assai ambizioso e finemente realizzato.

L’arte della gioia: di che cosa parla la serie

Il centro nevralgico de L’arte della gioia è il personaggio di Modesta (Tecla Insolia, vista di recente in Familia, L’albero), nata in Sicilia il 1 gennaio 1900 da una umile famiglia di contadini. A seguito di una tragedia per la quale la giovane perde tutta la sua famiglia, Modesta viene portata in un convento di suore guidate da Suor Leonora, interpretata da Jasmine Trinca (Supereroi, Profeti, Diamanti), che la prende sotto la sua ala protettiva. Proprio qui, la giovane Modesta affinerà con la cultura e la preghiera la sua innata intelligenza, voglia di libertà e d’amore, difficili da ottenere per una donna in quel luogo e momento storico.

Una volta uscita dal convento per ragioni e modi che non vi vogliamo spoilerare, Modesta si ritroverà a vivere presso la principessa Gaia Brandiforti, interpretata da Valeria Bruni Tedeschi (Gli indifferenti, Le Pupille, Eterno Visionario), una donna rigida e altezzosa, a capo di una famiglia nobiliare della Sicilia rurale, una famiglia fatta di segreti e di brutture che la donna “innamorata della bellezza” vuole nascondere dietro il lusso.

Riuscirà Modesta a emanciparsi dalla tirannia della donna, ritagliandosi nel mentre la sua parte di gioia?

Un'immagine di scena de L'arte della gioia di Valeria Golino: Jasmine Trinca interpreta Suor Leonora

Modesta, una donna a-morale

Come si è già detto, al centro de L’arte della gioia c’è Modesta. Lei non solo è la narratrice – che, come in buona parte della serialità contemporanea post-Fleabag guarda in macchina rompendo la quarta parete – ma è la vera e propria figura cardine attorno alla quale tutta la narrazione e tutti i personaggi si muovono. Modesta è il fulcro dell’intera storia e operazione, con la sua personalità e il suo carattere altamente sfuggenti.

Come anche sottolineato dalla stessa Golino e dagli sceneggiatori de L’arte della gioia in sede della conferenza stampa di presentazione tenutasi a Roma, Modesta è difficile da contenere all’interno di categorie predefinite e sociali, un personaggio a-morale più che immorale. Nonostante nel corso della serie siano non poche le efferatezze che la giovane compie, infatti, le fa non perché manchi di una bussola morale, ma al contrario perché ne possiede una che è di fatto lontana da quella del resto della società. Come dice la stessa protagonista de L’arte della gioia,

È vero: ho sempre rubato la mia parte di gioia, a tutto e a tutti.

La spregiudicatezza delle azioni di Modesta è, infondo, testamento della sua tenacia e della sua lotta per ottenere ciò che la vita le ha tolto dalla sua nascita: una vita piena di amore, di ricchezza, di libertà. La protagonista è disposta a tutto pur di ottenerle, e nel corso della serie cercherà proprio di utilizzare tutti i mezzi a propria disposizione – il proprio ingegno e il suo corpo – per ottenerli, anche attraverso modi considerati sconvenienti per una donna, come il sesso.

Un'immagine di scena de L'arte della gioia di Valeria Golino: Modesta interpretata da Tecla Insolia

Elemento già critico per l’epoca del romanzo – motivo principale per cui, come ha sottolineato Golino in conferenza stampa, il romanzo uscì prima in Francia che nel nostro Paese, dov’era considerato troppo scandaloso per il suo materiale sessualmente esplicito -, il tema dell’eros è più che centrale anche nell’adattamento per il piccolo schermo: la pura bellezza e il corteggiamento sfrontato di Modesta le permetteranno di conquistare molte delle persone che incontra sul suo cammino (uomini o donne che siano), intrecciando una fitta rete di relazioni sessuali che la giovane donna che le permetteranno di controllare gran parte delle persone attorno a lei, soprattutto nella residenza della principessa Gaia.

L’uso spregiudicato del suo corpo – pure in un atto che la stessa Modesta, assetata di vita, ricerca fieramente – permette di sottolineare quanto la protagonista de L’arte della gioia sia fuori da qualsiasi canone di femminile, sia quello della Sicilia del primo Novecento, sia quello dell’Italia degli anni Settanta, periodo in cui il personaggio è stato concepito. Un personaggio che, in sostanza, vive di una moralità propria e non dettata dalle norme sociali di qualsiasi tempo.

La forza indomita e incontrollata di Modesta viene tradotta su schermo grazie all’interpretazione straordinaria di Tecla Insolia – diciottenne all’epoca delle riprese – che dona completamente anima e corpo al personaggio centrale de L’arte della gioia, ai suoi lati più angelici e a quelli più oscuri, capace di trasportare tutta l’incoscenza della gioventù nel ruolo; proprio per questa straordinaria interpretazione, Insolia riesce a distinguersi così come una delle giovani attrici più promettenti del panorama italiano.

Un'immagine dietro le quinte de L'arte della gioia: valeria golino dirige i suoi attori

Insolia incarna ne L’arte della gioia, dunque, una donna sfuggente, brillante e vitale, impossibile da categorizzare – all’interno di un orientamento sessuale come di una classe sociale, per esempio – pienamente consapevole del proprio corpo e dei propri desideri, pronta a tutto per raggiungerli. Insomma, una protagonista perfetta (pur nella sua imperfezione) per i nostri tempi.

La scalata sociale in un feuilleton in costume

Gli snodi narrativi al cuore de L’arte della gioia – che, attenzione, copre soltanto una ridotta parte del testo narrativo di partenza, a sottolineare la possibilità di un proseguio seriale della storia – paiono conuigare costruzioni narrative differenti tra loro, a metà tra il passato e il presente della narrativa popolare. Da un lato, infatti, come hanno sottolineato gli stessi sceneggiatori della serie in sede di conferenza stampa, gli eventi in cui il romanzo si articola ricalcano gli sviluppi di un tradizionale feuilleton, o romanzo d’appendice che dir si voglia, ottocentesco: dalle tragedie truculente fino ai tradimenti e agli amanti, passando per i colpi di scena che costellano l’intera narrazione.

Dall’altro lato, tuttavia, il lavoro svolto dal team di scrittura è stato particolamente abile nel tradurre gli eventi del romanzo in una forma che li rende appetibili per un pubblico contemporaneo. La scansione degli eventi all’interno degli episodi, infatti, appassiona lo spettatore moderno, arrivando dunque ad una perfetta traduzione di una forma narrativa tradizionalmente popolare – il feuilletton dai toni melodrammatici – in quello che è il suo corrispettivo contemporaneo nel mondo dei media, vale a dire la serialità televisiva.

Un'immagine di scena de L'arte della gioia di Valeria Golino: Modesta interpretata da Tecla Insolia

Tale fruibilità de L’arte della gioia è, tuttavia, dipesa anche dalla scelta alquanto intelligente quando non furba di porzione di romanzo da adattare: scegliere le prime cento pagine del romanzo, infatti, permette alla serie di inquadrarsi all’interno di temi e sviluppi narrativi cui il pubblico di oggi è ben allenato a vedere. La storia che, di fatto, emerge dalla visione di questa prima stagione è quella di una scalata sociale di una persona che passa dal rango più basso della società all’ingresso nei ranghi più alti della stessa.

Tema, questo, che è al centro non solo di Teorema di Pier Paolo Pasolini, ma ben più evidentemente di Parasite, film di Bong Joon-Ho diventato un vero e proprio oggetto di venerazione cinefila in questi anni, e di Saltburn, opera di Emerald Fennel anch’essa diventata di culto tra il pubblico. Basta anche solo fare un giro tra le recensioni di Letterboxd per comprendere quanto la continuità tra L’arte della gioia e i film finora citati sia stata pienamente colta dal pubblico nostrano.

Leonora, Gaia e l’ipocrisia delle classi sociali

Il racconto costruito da Golino di tale tema va tuttavia inquadrato nel contesto storico in cui la serie è ambientata. Tale operazione, difatti, permette di sottolineare un altro grande tema portante de L’arte della gioia, vale a dire l’artificio e la fragilità delle strutture sociali. La carica eversiva portata nel mondo da Modesta, infatti, finisce per travolgere le istituzioni e i ranghi sociali nei quali la giovane si ritrova. Nel caso della stagione, essi sono la Chiesa (rappresentata dal monastero di Suor Leonora) e la nobiltà siciliana (racchiusa dalla principessa Gaia e analizzata di recente anche alla serie Netflix Il Gattopardo).

Un'immagine di scena de L'arte della gioia di Valeria Golino: la principessa interpretata da Valeria Bruni Tedeschi

Proprio i due personaggi citati de L’arte della gioia ben emblematizzano il carattere vacuo di questi ceti sociali. Suor Leonora, infatti, è una suora colta e avvenente, che nasconde però un passato oscuro e un’attrazione proibita all’interno delle mura. La Principessa Gaia, invece, è talmente infatuata dal concetto di bellezza che finisce pure per ripudiare i propri stessi figli (o almeno, quelli di loro che giudica “imperfetti”), condannandosi a una miopia che la porterà a interrompere la propria stirpe nobiliare con lei stessa.

Questi personaggi, ma anche gli altri personaggi de L’arte della gioia, manifestano in sé uno scontro tra ciò che sono e ciò che il loro ruolo sociale impone loro di essere. Nei ruoli che la società riesce ad imporre loro, questi personaggi tendono in primis ad adattarsi, ma basta veramente poco per scoperchiare le ipocrisie e le falsità che questi ruoli nascondono. Ed è anche su questo che la giovane Modesta gioca per poter raggiungere i propri obiettivi, non lasciandosi polarizzare da queste bussole morali e personali corrotte, ma piuttosto mettendone in evidenza proprio la distorsione.

Con una scrittura perfetta per i nostri tempi, una cura per la regia davvero non banale – valore, quello della visione registica di Valeria Golino, alla base dell’intero progetto, come si è più volte sottolineato in conferenza stampa – e un cast in stato di grazia, L’arte della gioia si distingue all’interno del panorama televisivo italiano come un prodotto di alta qualità, dai temi forti e contemporanei, trattati con arguzia; un gradino molto importante nella carriera da regista di Golino, che ci auguriamo possa continuare a raccontare la storia dell’indomita Modesta – se si mantiene questo alto livello.


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Classe 2001, cinefilo a tempo pieno. Se si aprissero le persone, ci troveremmo dei paesaggi; se si aprisse lui, ci troveremmo un cinema. Ogni febbraio vorrebbe trasferirsi a Berlino, ogni maggio a Cannes, ogni settembre a Venezia; il resto dell'anno lo passa tra un film di Akerman, uno di Campion e uno di Wiseman.

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