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Mission Impossible

Guida a Mission Impossible, cosa sapere prima di vedere Dead Reckoning

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16 minuti di lettura

La saga di Mission Impossible è una delle più longeve fino ad oggi, contando 8 film in quasi 30 anni. È la perfetta cartina tornasole per osservare come il cinema d’intrattenimento blockbuster si è evoluto nel corso dei decenni. Ma non solo, è probabilmente l’unico franchise che non obbliga gli spettatori a conoscere ogni singolo film: anche se a partire dal quinto film, Rogue Nation, sembra che si sia istituita una sorta di nuova continuity, in realtà ogni film di Mission Impossible è perfettamente godibile a sé stante, non richiede la conoscenza dei capitoli precedenti o dei personaggi, che vanno e vengono tra facce vecchie e nuove in ogni film.

E visto lo stile pieno d’azione ed avventura, mirato ad emozionare e coinvolgere il pubblico, si potrebbe quasi dire che in Mission Impossible viva lo spirito dei vecchi serial degli anni ’40, che regalavano azione ed avventura in film con lo stesso cast di personaggi, coinvolti in ogni episodio in situazioni diverse, soprattutto l’idolo Tom Cruise, che in ogni film mette a serio rischio la sua salute – e vita – in stunt sempre più pericolosi. In questa saga, ogni film è una missione diversa. Se deciderete di accettarla.

Mission Impossible, il classico di Brian De Palma

Mission Impossible

In cui Tom Cruise salta da un acquario che esplode.

Uscito nel 1996, Mission Impossible ha avuto immediatamente un enorme successo, sia di pubblico che di critica. Il successo è senz’altro dovuto allo star power di Tom Cruise, al picco della popolarità ancora oggi, e alla maestria di Brian De Palma. Se la saga di Mission Impossible va ancora avanti è tutto grazie a questa accoppiata vincente, una collaborazione che ha voluto Cruise a tutti i costi e che si è rivelata azzeccatissima.

Il primo film è un mix irresistibile di azione, thriller e suspense, pieno di colpi di scena e doppi giochi, a cui oggi il franchise ci ha tanto abituato. Dall’accattivante prologo alla famosissima scena dell’infiltrazione di Langley (vedasi l’immagine), il primo Mission Impossible è una lezione del grande De Palma su come realizzare un film di genere. Tutti gli elementi della saga sono già qui, seppur in scala più piccola: gli stunt, le maschere, i gadget, i doppi giochi, i tradimenti e le manipolazioni dai piani alti, e, ovviamente, le missioni impossibili.

Nonostante siano passati quasi 30 anni, il film di De Palma è invecchiato come il vino, dallo svolgimento della trama agli effetti speciali (eccetto forse la sequenza finale sul treno), e ha cementato una formula vincente: Ethan Hunt in fuga contro ogni probabilità, un team di pochi ma fidati alleati, tanta azione e tanti colpi di scena. La formula perfetta per un franchise (quasi) perfetto.

M:I-2 Mission Impossible 2, la pecora nera di John Woo

Mission Impossible 2

In cui Tom Cruise fa free climbing sul Dead Horse Point.

La prima trilogia di Mission Impossible risale a un tempo in cui non si pensava ad una vera continuità estetica nelle saghe: ogni film veniva affidato a registi, spesso autori, completamente diversi (basti pensare ai film di Alien, la cui saga principale è iniziata nel 1979 e terminata nel 1997). Nel secondo capitolo esce De Palma ed entra John Woo, al tempo all’apice del successo e della fama grazie a Broken Arrow e Face/Off, girati in America.

La regia di Woo, estremamente stilizzata e over-the-top, non ha rispettato le aspettative create con il primo film, molto più asciutto ed elegante nell’esecuzione. In generale, il film soffre molto di quei cliché tipici dei film d’azione degli anni 2000: musica elettronica, montaggio veloce, abbigliamenti improbabili. Un film che vuole in tutti i modi essere cool, anche a costo di risultare ridicolo. L’esagerazione dell’azione e dei dialoghi cozza molto con lo stile del primo e dei successivi Mission Impossible.

A questo si aggiungono una trama scarna e personaggi poco memorabili, dal villain interpretato da Dougray Scott alla nuova fiamma di Hunt, Thandiwe Newton. Torna però Ving Rhames nel ruolo di Luther Stickell, l’unico attore oltre a Cruise presente in ogni singolo film. Insomma, M:I-2 è un po’ la pecora nera del franchise, deriso dalla critica e dai fan stessi della saga. Ma chi è fan di Michael Bay e di Jerry Bruckheimer potrebbe trovare pane per i suoi denti nel film di John Woo.

M:i:III Mission Impossible III, l’impronta definitiva di J. J. Abrams

Mission Impossible III

In cui Tom Cruise corre. Tanto.

Uscito 6 anni dopo, il terzo capitolo è significativo dal punto di vista produttivo, poiché marchia l’entrata nel franchise di J. J. Abrams, qui al suo esordio alla regia. Abrams non dirigerà altri film di Mission Impossible, ma rimarrà come produttore in tutti i sequel successivi fino a Fallout: il film di quest’anno sarà il primo a non essere più prodotto dalla Bad Robot.

Ma M:i:III è importante anche per i personaggi che introduce: entrano in scena Julia Meade (Michelle Monaghan) e Benji Dunn (Simon Pegg), rispettivamente la moglie di Hunt e il tecnico della IMF. Questi personaggi torneranno in quasi tutti i film successivi, e rappresentano le persone più importanti nella vita di Hunt. Julia rappresenta l’amore impossibile di Hunt, la vita che non potrà mai avere, ma che non smetterà mai di proteggere, mentre Benji si rivelerà uno di suoi amici più stretti e intimi.

Il film in sé è probabilmente il migliore della carriera di Abrams. Il che è tutto dire. Ma, nonostante non sia uno dei migliori della saga, M:i:III regala comunque dei momenti speciali, soprattutto per quanto riguarda il terrificante villain interpretato dal compianto Philip Seymour Hoffman, il più spietato e spaventoso di tutto il franchise di Mission Impossible. L’azione qui è meno esagerata del suo predecessore, ma non per questo meno godibile: Abrams riesce a trovare la giusta via di mezzo tra l’eleganza di De Palma e il caos di Woo, impacchettando un ottimo film d’azione con una trama un po’ traballante.

Mission Impossible: Ghost Protocol, lo spartiacque di Brad Bird

Mission Impossible Ghost Protocol

In cui Tom Cruise scala il grattacielo più alto del mondo.

Nonostante il finale chiuso di M:i:III, il successo della saga ha portato Cruise ed Abrams a continuare il franchise: nel 2011 esce il quarto capitolo, Ghost Protocol, diretto dal regista della Pixar Brad Bird, nel suo esordio live action. Dopo la lettera d’amore al genere spionistico che è stato Gli Incredibili, sembra naturale che Bird abbia voluto cimentarsi nella saga di spionaggio per eccellenza (accanto a 007). Il film funge da involontario spartiacque della saga: a metà tra la trilogia originale, variegata e mutevole, e la nuova direzione di Christopher McQuarrie, di cui parleremo nel prossimo paragrafo.

Ghost Protocol segna l’inizio degli stunt estremi di Tom Cruise: da qui in poi l’attore escogiterà sequenze d’azione sempre più ambiziose e pericolose, iniziando con la scalata del Burj Khalifa, famoso per essere il palazzo più alto del mondo a ben 828 metri. Inoltre, si può percepire la volontà di stabilire un’identità stilistica coerente e precisa da far seguire anche nei film successivi, come l’utilizzo di località e gadget realistici, non troppo futuristici. Ghost Protocol è particolarmente divertente da guardare poiché è l’unico film che si permette di giocare e ironizzare sui topoi della saga, mostrando le gaffes di gadget malfunzionanti e di messaggi che non si autodistruggono.

Importante per la continuity è l’introduzione di William Brandt, interpretato da Jeremy Renner. Anche se appare solo in questo film e in Rogue Nation, Brandt si rivela un importante alleato per Hunt e il suo team, che vengono incastrati e rinnegati dal Presidente. Con pochi mezzi, un team inesperto e nessun appoggio, Hunt deve trovare il modo di salvare il mondo da una nuova guerra mondiale e redimersi di fronte al Governo. Una pletora di villains diversi (tra cui Léa Seydoux), incastri di conflitti di interessi e situazioni veramente impossibili rendono Ghost Protocol uno dei migliori della saga, e da qui in poi è veramente tutto in salita.

Mission Impossible: Rogue Nation, la nuova direzione di Christopher McQuarrie

Mission Impossible Rogue Nation

In cui Tom Cruise si aggrappa ad un aereo in decollo a 300 km orari.

Rogue Nation, il quinto film della saga, cambia definitivamente il tiro del franchise, mettendo i semi di una continuity vera e propria. Il film esce nel 2015, in un momento in cui tutti gli studios stanno sperimentando con universi condivisi (come il Marvel Cinematic Universe) ed espansioni di saghe già affermate (come Fast & Furious). Mission Impossible non è da meno, e grazie all’entrata in scena di Christopher McQuarrie, già collaboratore di Tom Cruise in Jack Reacher, nonché sceneggiatore di molti film con la star, tra cui Ghost Protocol, inizia una nuova era della saga.

McQuarrie introduce nuovi alleati e nemici: l’ambigua Ilsa Faust, interpretata da Rebecca Ferguson, sarà il personaggio più importante di tutti per la relazione che nascerà tra lei ed Ethan, mentre il temibile terrorista Solomon Lane (Sean Harris) e il suo Sindacato si affermano come i nuovi nemici. Per la prima volta si assiste alla nascita di una organizzazione rivale, che si reincarnerà negli Apostoli nel film successivo. Altra importante aggiunta è Alan Hunley (Alec Baldwin), inizialmente contrario all’IMF, ma che si rivelerà un prezioso alleato.

Rogue Nation mette tutte le carte in tavola per far ripartire il franchise di Mission Impossible con una ventata d’aria fresca e un nuovo inizio. Hunt trova finalmente una nemesi in Lane, e la fiamma di un nuovo possibile amore con Ilsa, non meno complicato rispetto a quello con Julia: Ilsa è una spia i cui interessi vanno contro quelli di Ethan, nonostante si aiutino a vicenda compromettendo continuamente non solo le rispettive missioni, ma anche le proprie vite e quelle dei loro amici. Due rapporti interessanti, quelli tra Lane ed Ilsa, che continueranno in Fallout.

Mission Impossible: Fallout, il film d’azione definitivo

Mission Impossible Fallout

In cui Tom Cruise si butta col paracadute da 8 km di altezza.

Nonostante la nuova continuity, i volti del passato non sono caduti nel dimenticatoio, anzi, sono più presenti che mai: in Fallout si sottolinea l’elemento di novità, ma anche l’eredità del passato della saga, facendo sentire il peso di tutti gli anni passati. Fallout incarna perfettamente il fragile equilibrio di un franchise che esiste da così tanto tempo: il ritorno di Julia, seppur breve, consolida i rapporti dei personaggi della saga, riapre e chiude con maestria una parentesi che era già stata chiusa nei film precedenti, ma necessaria per continuare l’arco narrativo di Ethan.

Tra i volti nuovi invece, figurano l’ambiguo August Walker (Henry Cavill, ovvero l’unico attore che è riuscito a rubare la scena a Tom Cruise nel suo stesso franchise), la nuova direttrice della CIA Erika Sloane (Angela Bassett), e Alanna Mitsopolis (Vanessa Kirby), conosciuta come la Vedova Bianca. Sembra che quest’ultima ricoprirà un ruolo importante in Dead Reckoning, vista l’ampia presenza nei trailer e nei poster.

Fallout è stato spesso citato tra i migliori film d’azione degli ultimi tempi, e per buone ragioni: oltre al salto HALO, Tom Cruise ci regala diversi combattimenti (come quello in cui Cavill “ricarica i pugni”) e inseguimenti mozzafiato: in moto, a piedi e anche in elicottero. Tutto con una fotografia curata e pulita, un montaggio fluido, interpretazioni e dialoghi ben realizzati. Fino ad ora, quello di Mission Impossible è uno dei rarissimi casi in cui una saga migliora con ogni film che esce, e a giudicare dall’accoglienza che sta ricevendo Dead Reckoning: Parte Uno, sembra che sia una tradizione che Cruise & co. vogliono continuare.


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Nato a Roma, studia attualmente al DAMS di Padova.
Vive in un mondo fatto di film, libri e fumetti, e da sempre assimila tutto quello che riesce da questi meravigliosi media.
Apprezza l'MCU e anche Martin Scorsese.

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