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Golden Eighties Foto Jean Ber
Foto Jean Ber – Chantal Akerman Foundation

Golden Eighties, compra compra elisir d’amor

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10 minuti di lettura

Come per ogni genere che si possa definire tale, il musical ha da sempre fornito ad autori e mestieranti gli strumenti con cui parlare al pubblico di tematiche pressanti e complesse, attraverso metafore e allegorie. Celebre l’esempio di All that Jazz (1979), nel quale Bob Fosse affronta la propria mortalità con balletti ed esibizioni rock, oppure degno di nota l’italiano Tano da Morire (1997) di Roberta Torre, dedito a ridicolizzare la mafia siciliana.

Uno dei titoli più di spicco fra i musical d’autore è certamente Golden Eighties (1986) di Chantal Akerman, presentato nella sua versione restaurata al Cinema Ritrovato, coi suoi colori sgargianti e la sua composizione studiata nei più minimi dettagli. Un musical spartiacque nella storia del cinema che influenzerà moltissimi lavori successivi.

Golden Eighties e ciò che ne è derivato

Frame di Golden Eighties di Akerman

Credit: Chantal Akerman Foundation

Girato con scarsi fondi da una delle registe più controverse di tutti i tempi, Golden Eighties si profila fin dal suo concepimento un progetto difficilissimo da realizzare: non soltanto per via della complessità organizzativa di un film dal ritmo estremamente sostenuto, ma anche per il fatto che a sedere dietro la macchina vi fosse proprio Chantal Akerman.

Regista belga di origini ebraiche, nel 1975 regalò alla storia del cinema Jeanne Dielman, 23, Quai du Commerce, 1080 Bruxelles, film di quattro ore e mezza nel quale seguiamo la titolare donna – Delphine Seyrig – durante una sua giornata tipo: pulisce i pavimenti, va alle poste, pela le patate e si prostituisce per racimolare qualche soldo in più. La lentezza esasperante e le sporadiche esplosioni di tragedia e violenza ispireranno più di tutti Michael Haneke, che cita il film come uno dei suoi punti di riferimento culturali.

La vera rivoluzione della Akerman fu però quella di dedicare un film intero al tempo “meno cinematografico” per eccellenza: quello della donna. E non una donna particolare, non una star o una modella, bensì la più comune fra le casalinghe belghe di quegli anni; era necessario interrogarsi su quanto effettivamente il tempo della donna proletaria fosse considerato nella società, e quanto invece le sue fatiche e la sua alienazione rimanessero inapprezzate ed ignorate. Con queste premesse, nessun produttore si sarebbe fidato della Akerman su Golden Eighties; però, le riprese iniziarono e fu chiaro fin da subito che il film non sarebbe stato un musical qualsiasi.

L’estetica di Golden Eighties

Frame di Golden Eighties di Akerman

Credit: Chantal Akerman Foundation

La cura estetica è la prima cosa che balza subito all’occhio: ambientato interamente all’interno di un supermercato, l’azione coinvolge due negozi l’uno di fronte all’altro, un salone di bellezza e una boutique. I proprietari ed i dipendenti di entrambi rimangono coinvolti in numerose tresche amorose che si intrecciano e completano a vicenda, circondati dalla minuziosa ricercatezza della regista nel rendere Golden Eighties un capolavoro di framing e utilizzo del colore.

Akerman si è sempre saputa distinguere per il suo modo di inquadrare gli spazi cittadini, utilizzando le geometrie e le linee dure dei paesaggi urbani per creare immagini da togliere il fiato. Ogni mattonella, ogni manichino o bottiglia di profumo sono accuratamente posizionati all’interno dell’inquadratura per comporre un’immagine complessa nell’ordine e coerente nei colori.

Impossibile non pensare alle filmografie di Pedro Almodovar, Wes Anderson, Edgar Wright, davanti a questa maniacale perfezione: le tonalità pastello e il sapiente blocking saranno immensa fonte di ispirazione per innumerevoli autori a venire. Ciò che veramente contraddistingue Golden Eighties da altri musical è il suo ritmo: non solo cantato o coreografato, ma registico e di montaggio; ogni taglio o movimento di macchina punteggia di virgole e pause la narrazione, donandogli un passo più che sostenuto. In questo senso il film ricorda più le commedie di Jacques Tati che i musical di Jacques Demy, per quanto estetica e genere possano trarre in inganno.

Gli anni 80′ come i nuovi anni 50′

Frame di Golden Eighties di Akerman

Credit: Chantal Akerman Foundation

La pregiata manifattura di Golden Eighties ha anche evidenti funzioni tematiche: lo sbrilluccicare di vestiti e prodotti di bellezza sono specchio del periodo storico a cui il film fa riferimento già dal titolo. I “dorati ottanta,” epoca di rinascita dopo il periodo più teso della Guerra Fredda, epoca di nuovi mercati e vertiginose crescite nei profitti; epoca di egemonia culturale ed economica statunitense e di crisi per il lavoratore medio. L’epoca dello sfrenato neoliberismo.

Che l‘unico luogo dell’azione sia un supermercato è già indicativo, che i colori sgargianti richiamino lo stile pubblicitario del periodo, lo è ancora di più, ma soprattutto che Chantal Akerman ironizzi sugli anni Ottanta come una nuova era di prosperità, nuovi anni Cinquanta – nei quali tavolozze cromatiche vivaci e musical spopolavano ad Hollywood – indicano che il film sia molto meno leggero di quanto non si possa cogliere ad un primo sguardo. Sotto ai glitter di Golden Eighties sono infatti nascosti due spettri terrificanti: quello della mercificazione di qualsiasi bene, e quello della cancrena nelle democrazie occidentali a cui le regole di mercato inevitabilmente porteranno.

Non è un caso che una dei protagonisti, interpretata da Delphine Seyrig, sia un’ebrea sopravvissuta alla Seconda Guerra Mondiale e che proprio lei dica ad una comprimaria a cui è appena stato spezzato il cuore (ma preoccupata di dover restituire i regali di fidanzamento già ricevuti): “incontrerai qualcun altro e magari aprirete un negozio e lavorerete assieme. Sarà meraviglioso, saremo tutti felici. […] La crisi non può durare per sempre, non finché ci sarà da mangiare. Ce la faremo. Se non dovessimo farcela vivremo un nuovo orrore e questa volta nessuno sarà risparmiato. Ma non potrà succedere di nuovo. Mai più.”

Una profezia, più che un consiglio confortante, alludendo ad una Terza Guerra Mondiale nata dall’incapacità dei sistemi occidentali di prendersi cura dei propri cittadini, come un pessimo amante non riesce a provare genuino affetto per il suo compagno. Quasi nessuno dei personaggi principali esce emotivamente appagato dalla storia: in Golden Eighties non vi è felicità possibile quando l’amore della propria vita è emigrato per lavoro, quando è stato scacciato dal suo negozio perché i proprietari di fronte possano espandersi, quando anche l’amore stesso diventa un bene di consumo.

Dopo aver bevuto bicchieroni di Coca Cola, aver cantato come “preferirei sentire la pioggia sulla pelle che l’aria del condizionatore” ed aver amato esclusivamente all’interno di un supermercato, i personaggi di Golden Eighties arrivano alla conclusione che in fondo “l’amore è come i vestiti. Magari ne trovi uno stupendo, fatto apposta per te… ma della taglia sbagliata. Ne cerchi un altro un po’ più sciatto ma che ti stia bene, del resto non si può mica andare in giro nudi“.

Credit immagine di copertina: Foto Jean Ber – Chantal Akerman Foundation

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Appassionato e studioso di cinema fin dalla tenera età, combatto ogni giorno cercando di fare divulgazione cinematografica scrivendo, postando e parlando di film ad ogni occasione. Andare al cinema è un'esperienza religiosa: non solo perché credere che suoni e colori in rapida successione possano cambiare il mondo è un atto di pura fede, ma anche perché di fronte ai film siamo tutti uguali. Nel buio di una stanza di proiezione siamo solo silhouette che ridono e piangono all'unisono. E credo che questo sia bellissimo.

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